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TI STRAPPO DAL CUORE,
ANNULLO I MIEI PENSIERI,
BRUCIO I RICORDI,
SOFFOCO I MOMENTI ,
CANCELLO IL TEMPO E GLI ANNI
DIMENTICO? …NO!!!
NON SI PUO’ DIMENTICARE.
ADDIO MIO DOLCE PENSIERO,
ADDIO MIA FANTASIA.
Autore: Maurizia
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GIOSUE’ CARDUCCI
Carducci, per quel vivo senso del reale che è proprio della sua personalità, sente e ritrae il mondo naturale in modo ben diverso dai poeti che lo precedettero (Petrarca, Leopardi, per citare i più significativi )e si avvicina ai classici: infatti, per quanto riguarda la natura, ha lo stesso concetto dei classici: l’uomo lavora e la terra, fulgida di sole e palpitante di vita, lo ricompensa delle sue fatiche; pertanto il mondo naturale è descritto nel pieno rigoglio dei suoi frutti, nella serena solerzia degli uomini. (San Martino, traversando la maremma toscana, Idillio maremmano, Comune rustico ecc.
Le caratteristiche romantiche di Carducci possono essere considerati: il sentimento della natura, l’impeto anarchico tipico delle prime raccolte, l’amore per la rievocazione storica. (Si tenga tuttavia presente la dichiarata polemica romantica degli anni giovanili e la si giustifichi con il falso concetto che il poeta si era fatto del romanticismo e con i suoi ideali di vita attiva e di “poesia oggettiva”.Carducci guarda alla storia poiché vuole renderla presente, vuole attuare la romanità e l’eroismo degli antichi (es. Terme di Caracalla ).Può quindi essere definito classico per il culto di Roma antica (per altro trasfigurata dalle ideologie del poeta) e per la disciplina stilistica delle sue poesie. Tuttavia, la critica tende ad affermare che il classicismo più autentico di Carducci è quello Odi Barbare in cui il poeta si allontana dagli impegni epici e celebratori; divenuto il nostalgico sostenitore di una felicità che agli uomini non può toccare, vede nel mondo classico e nella natura ,una ideale di armonia e di equilibrio; e quasi fuggendo dalla realtà, si rifugia in essa e lo vagheggia con una sentimentalità romantica e parnassiana. In tal modo, quasi dopo un lungo cammino, Carducci giunge a fondere nella sua poesia classicismo e romanticismo e a trasfigurare entrambi in un’atmosfera tipicamente personale. Nella poesia “Pianto antico “la desolazione che nasce dalla musica di questi versi è profondamente umana, ma è anche delicatamente soffusa di melanconia e di tenerezza. Tutto il componimento è costruito sopra una semplice similitudine e procede per antitesi; ma quanta grazia nella rapidissima evocazione del piccolo morto! Non c’è letteratura, ma immagine e sentimento, poesia e ritmo coincidano.
I limiti dei giudizi carducciani sono evidenti: il poeta è dominato da alcuni significative suggestioni per Dante è evidente il giusto di estasi e di misticismo, per Petrarca la metafora che fa della poesia un ruscello di lacrime, per il Tasso la concezione “formalistica “ dell’arte, (si pensi all’immagine caducciana del poeta -artiere );per Alfiere il titanismo risorgimentale, per Foscolo una forma di naturalismo idillico. In ultima analisi il poeta attribuisce ad altri poeti
sue proprie caratteristiche o aspirazioni .
Giosuè Carducci nacque a Valdicastello, nella provincia di Lucca,il 27 di luglio del 1835. Ebbe il riconoscimento del premio nobile della letteratura ,un artista completo che seppe dare una immagine di se dell’Italia, con risultati eccellenti .
San Martino
La nebbia a glirti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per la via del borgo
Dal ribellar dei tini
Va l’aspro odor de i vino
L’uomo a rallegrar.
Gira sui ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar
Tra rossastre nubi
Storni di uccelli neri,
Com’esuli pensieri ,
Nel vespero migrar.
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Pianto Antico
L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Dà bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Fu de l’inutil vita
Estremo unici fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
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IL sonetto
Dante il mover gli diè del cherubino
E d’are azzurro e d’òr lo circonfuse:
Petrarca il pianto del suo cor,divino
Rio che pe’versi mormora, gl’infusi.
La mantuana ambrosia e ‘l venosino
Miel gl’impetrò da le tiburti muse
Torquato ;e come strale adamantino
Contro i servi e’tiranni Alfier lo schiuse
La nota Ugo gli diè de’ usignolo
Sotto i ionii cipressi, e de l’acanto
Cinsel fiorito a’ suoi materni soli.
Sesto io no, ma postremo ,estasi e pianto
E profumo ,ira arte,a’miei di soli
Memorie innovo ed a i sepolcri canto.
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Piemonte
Su le dentate scintillanti vette
Salta il camoscio,tuona la valanga
Dà ghiacci immani rotolando per le
selve croscianti:
ma dei silenzi de l’effuso azzurro
esce nel sole l’aquila,e distante
in tarde ruote digradanti il nero
volo solenne .
Salve, Piemonte !A te con melodia
mesta da lungi risonante, come
gli epici conti del tuo popol bravo,
scendono i fiumi.
Scendano pieni,rapidi,gagliardi,
come i tuoi cento battaglioni,e a valle
cercan le deste a ragionar di gloria
ville e cittadi:
la vecchia Aosta di cesaree mura
ammantellata,che nel varco alpino
èleva sopra i barbari manieri
l’arco di Augusto:
Ivrea la bella che le rossi torri
specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno,fosca intorno è l’ombra
di re Arduino :
Biella tra ‘I monte e il verdeggiar de’piani
lieta guardante l’ubere con valle,
ch’armi ed aratri e a l’opera fumante
camini ostenta:
Cuneo possente e paziente,e al vago
declivio il dolce Mondavi ridente,
e l’esultante di castella e vigne
suol d’Aleramo;
e da Superga nel festante caro
de le grandi Alpi la regal Torino
incoronata di vittoria,ed Asti
repubblica.
Fiera di strage gotica e di l’ira
Di Federico,dal sonante fiume
ella .o Piemonte,ti donava il carme
nova d’Alfiere .
Venne quel grande,come il grande augello
ond’ebbe nome,e a l’umile paese
sopra volando,fulvo,irrequieto,
–Italia ,Italia—
egli gridava a’dissueti orecchie,
a i pigri cuori,a gli animi giacenti.
—-Italia , Italia —-rispondeano l’urne
d’Arquà e Ravenna :
e sotto il volo scricchiolavano l’asso
sé ricercanti lunga il cimitero
de la fatal penisola a vestirsi
d’ira e di ferro .
—-Italia, Italia!—- E il popolo de’morti
surse cantando a chiedere la guerra;
e u re a la morte nel pallor del viso
sacro e nel cuore
trasse la spada. Oh anno dei portenti,
oh primavera de la patria ,oh giorni,
ultimi giorni del fiorente maggio,
oh trionfante
suon de la prima italica vittoria
che mi percosse il cuor fanciullo!Ond’io,
vate d’Italia a la stagion più bella ,
in grigie chiome
oggi ti canto, o re dei miei verd’anni,
re per tanti anni bestemmiato e pianto,
che via passasti con la spada in pugno
ed il cilicio
al cristiano petto ,itolo Amleto .Sotto
il ferro e il fuoco del Piemonte ,sotto
di Cuneo ‘l nerbo e l’impeto d’Aosta
sparve il nemico .
Languido il tuon dell’ultimo cannone
dietro la fuga austriaca moria:
il re a cavallo discendeva contra
il sol cadente
a gli accorrenti cavalieri in mezzo
di fumo e polve e di vittoria allegri,
trasse, ed, un foglio dispiegato,disse
resa peschiera .
Oh qual da i petti,memori de gli avi ,
alte ondeggiando le sabaude insegne,
surse frementi un solo grido:Viva
il re d’Italia!
Arsa di gloria,rossa nel tramonto .
L’ampia distesa del lombardo piano;
palpitò il lago di Virgilio, come
velo di sposa
che s’apre al bacio del promesso amore:
gli occhi fissava il re:vedeva l’ombra
del Trocadero.
E la aspettare la brumal Novara
E a’tristi errori meta ultima Oporto.
Oh sala e cheta in mezzo dei castagni
Villa del Douro,
che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore!
Sfaceasi;e nel crepuscolo de i sensi
Tra le due vite al re davanti corse
una miranda vision: di Nizza
il marinaro
biondo che dal Gianicolo spronava
contro l’oltraggio gallico:d’intorno
splendeagli, fiamma di piropo al sole,
L’italo sangue.
Si gli occhi spenti scese al re una stilla,
lenta errò l’ombra d’un sorriso. Allora
venne da l’alto un vol di spiriti,e cinse
del re la morte.
Innanzi a tutti,o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
diè a l’aure primo il tricolar, Santorre
di Santarosa.
E tutti insieme a Dio scortaron l’olmo
di Carl’Alberto.—- Eccoti il re, Signore,
che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore,
anch’egli è morto, come noi morimmo,
Dio ,per l’Italia.Rendine la patria.
A i morti, a i vivi,pe’Ifumante sangue
Da tutt’i campi,
per il dolore che le regge agguaglia
a le capanne, per la gloria, Dio,
che fu ne gli anni, pe’I nartirio, Dio,
che è ne l’ora,
a quelle polve eroica fremente,
a questa luce angelica esultante,
rendi la patria, Dio, rendi l’Italia
a gli italiani.
Ceresole, reale,27 luglio 1890
Buona lettura CICCO53
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Nazim Hikmet
Nazim Hikmet Salonicco, 20 novembre 1902 – Mosca, 3 giugno 1963 poeta turco, naturalizzato polacco. Condannato per le sue idee, fu uno dei più grandi poeti a denunciare i massacri ai danni degli armeni che si verificarono tra il 1915 e il 1922.
La sua prima pubblicazione avvenne a diciassette anni su una rivista.
Studiò sociologia presso l’università di Mosca dove scoprì i testi di Marx e della rivoluzione sovietica. Conobbe Lenin, Esenin e Majakovskij, che ebbe su di lui un’importante influenza.
Passò diversi anni in carcere, prima per il suo ritorno irregolare ma amnistiato nel 1935. Nel 1938, fu condannato a 28 anni e 4 mesi di prigione per le sue attività anti-naziste e anti-franchiste, scontandone 13 in Anatolia, per essersi opposto alla dittatura di Kemal Ataturk. Fu l’intervento di una commissione internazionale composta tra gli altri da Tristan Tzara, Pablo Picasso, Paul Robeson e Jean-Paul Sartre a favorirne la scarcerazione nel 1950.
Nel 1951, a causa delle costanti pressioni, fu costretto a ritornare a Mosca, e trascorse il suo esilio viaggiando in tutta Europa. Perse così la cittadinanza turca e divenne polacco.
Morì il 3 giugno 1963 in seguito ad una crisi cardiaca.
È ricordato principalmente per il suo capolavoro, la raccolta Poesie d’amore, che testimonia il suo grande impegno sociale.
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Rubai
È l’alba. S’illumina il mondo
come l’acqua che lascia cadere sul fondo
le sue impurità. E sei tu, all’improvviso
tu, mio amore, nel chiarore infinito
di fronte a me.
Giorno d’inverno, senza macchia, trasparente
come vetro. Addentare la polpa candida e sana
d’un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia
all’aspirare l’aria in un bosco di pini.
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
se le nostre anime non si vedessero da lontano
non saremmo così vicini, chi sa,
se la sorte non ci avesse divisi.
È così, mio usignolo, tra te e me
c’è solo una differenza di grado:
tu hai le ali e non puoi volare
io ho le mani e non posso pensare.
Finito, dirà un giorno madre Natura
finito di ridere e di piangere
e sarà ancora la vita immensa
che non vede non parla non pensa.
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Nelle mie braccia tutta nuda
Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.
Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
È tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?
Dove finisce la notte
dove comincia la città?
Dove finisce la città dove cominci tu?
Dove comincio e finisco io stesso?
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Guardo in ginocchio la terra
Guardo in ginocchio la terra
guardo l’erba
guardo l’insetto
guardo l’istante fiorito e azzurro
sei come la terra di primavera, amore,
io ti guardo.
Sdraiato sul dorso vedo il cielo
vedo i rami degli alberi
vedo le cicogne che volano
sei come il cielo di primavera, amore,
io ti vedo.
Ho acceso un fuoco di notte in campagna
tocco il fuoco
tocco l’acqua
tocco la stoffa e l’argento
sei come un fuoco di bivacco all’addiaccio
io ti tocco.
Sono tra gli uomini amo gli uomini
Amo l’azione
Amo il pensiero
Amo la mia lotta
Sei un essere umano nella mia lotta
Ti amo.
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Il vento cala e se ne va
Il vento cala e se ne va
lo stesso vento non agita
due volte lo stesso ramo
di ciliegio
gli uccelli cantano nell’albero
ali che voglion volare
la porta è chiusa
bisogna forzarla
bisogna vederti, amor mio,
sia bella come te, la vita
sia amica e amata come te
so che ancora non è finito
il banchetto della miseria ma
finirà…
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Il raggio è riempito di miele
Il raggio è riempito di miele
i tuoi occhi son pieni di sole.
I tuoi occhi, mia rosa, saranno cenere
domani, e il miele continuerà
a riempire altri raggi.
Non mi fermo a rimpiangere i giorni passati
– salvo una certa notte d’estate –
e anche l’ultima luce dei miei occhi azzurri
ti annuncerà lieti giorni futuri.
Un giorno, madre natura dirà: “Mia creatura
hai già riso, hai già pianto abbastanza”.
E di nuovo, immensa
sconfinata, ricomincerà
la vita, senza occhi, senza parola, senza
pensiero…
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Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
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Arrivederci fratello mare
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
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Ciò che ho scritto di noi
Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull’erba
è la tua assenza
quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.
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Il più bello dei mari
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Elaborazione fatta da: Antonino8pa
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Primavera nell’aria.
All’improvviso un tuono!
Un lampo squarcia il cielo
rischiara il buio
strappa vesti e
drappi all’oblio.
Un vento si leva forte
alza la sabbia
cambia volto ai deserti
scompiglia mausolei
fa tremare troni,
denuda circuiti che vanno
dal cuore ai pensieri
rianima membra rassegnate.
Diventa brivido, scintilla di fuoco,
come guizzi di scorpione sotto la sabbia,
che caccia fuori la testa
e si raggomitola con il vento nel ventre
salta da duna a duna e gli balla sulla testa.
Vento che come musica, contagio,
passa da uomo a uomo
a ridestare orgoglio, speranza,
coraggio, assopiti,
a spezzare catene e gioghi rugginosi.
Semi ammollati
all’improvviso germogliano fiori
dal profumo prezioso, stordente,
della dignità e libertà
sazianti più del pane.
Uccelli d’acciaio
ubbidienti al demone
ubriacato da disumano potere
fan pioggia di fiamme
tingendo di sangue e di morte i granelli.
Ora la notte è buia e cupa
ma tornerà a brillare.
Per ormeggiare in paradiso
spesso si attraversa l’inferno.
Angeli e demoni in lotta.
Luna e stelle
ora indignate ora plaudenti
stanno a guardare.
autore: Semplice
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