Poesie di Eldy

GIOSUE’ CARDUCCI

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Carducci, per quel vivo senso del reale che è proprio della sua personalità, sente e ritrae il mondo naturale in modo ben diverso dai poeti che lo precedettero (Petrarca, Leopardi, per citare i più significativi )e si avvicina ai classici: infatti, per quanto riguarda la natura, ha lo stesso concetto dei classici: l’uomo lavora e la terra, fulgida di sole e palpitante di vita, lo ricompensa delle sue fatiche; pertanto il mondo naturale è descritto nel pieno rigoglio dei suoi frutti, nella serena solerzia degli uomini. (San Martino, traversando la maremma toscana, Idillio maremmano, Comune rustico ecc.
Le caratteristiche romantiche di Carducci possono essere considerati: il sentimento della natura, l’impeto anarchico tipico delle prime raccolte, l’amore per la rievocazione storica. (Si tenga tuttavia presente la dichiarata polemica romantica degli anni giovanili e la si giustifichi con il falso concetto che il poeta si era fatto del romanticismo e con i suoi ideali di vita attiva e di “poesia oggettiva”.Carducci guarda alla storia poiché vuole renderla presente, vuole attuare la romanità e l’eroismo degli antichi (es. Terme di Caracalla ).Può quindi essere definito classico per il culto di Roma antica (per altro trasfigurata dalle ideologie del poeta) e per la disciplina stilistica delle sue poesie. Tuttavia, la critica tende ad affermare che il classicismo più autentico di Carducci è quello Odi Barbare in cui il poeta si allontana dagli impegni epici e celebratori; divenuto il nostalgico sostenitore di una felicità che agli uomini non può toccare, vede nel mondo classico e nella natura ,una ideale di armonia e di equilibrio; e quasi fuggendo dalla realtà, si rifugia in essa e lo vagheggia con una sentimentalità romantica e parnassiana. In tal modo, quasi dopo un lungo cammino, Carducci giunge a fondere nella sua poesia classicismo e romanticismo e a trasfigurare entrambi in un’atmosfera tipicamente personale. Nella poesia “Pianto antico “la desolazione che nasce dalla musica di questi versi è profondamente umana, ma è anche delicatamente soffusa di melanconia e di tenerezza. Tutto il componimento è costruito sopra una semplice similitudine e procede per antitesi; ma quanta grazia nella rapidissima evocazione del piccolo morto! Non c’è letteratura, ma immagine e sentimento, poesia e ritmo coincidano.
I limiti dei giudizi carducciani sono evidenti: il poeta è dominato da alcuni significative suggestioni per Dante è evidente il giusto di estasi e di misticismo, per Petrarca la metafora che fa della poesia un ruscello di lacrime, per il Tasso la concezione “formalistica “ dell’arte, (si pensi all’immagine caducciana del poeta -artiere );per Alfiere il titanismo risorgimentale, per Foscolo una forma di naturalismo idillico. In ultima analisi il poeta attribuisce ad altri poeti
sue proprie caratteristiche o aspirazioni .
Giosuè Carducci nacque a Valdicastello, nella provincia di Lucca,il 27 di luglio del 1835. Ebbe il riconoscimento del premio nobile della letteratura ,un artista completo che seppe dare una immagine di se dell’Italia, con risultati eccellenti .

San Martino

La nebbia a glirti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per la via del borgo
Dal ribellar dei tini
Va l’aspro odor de i vino
L’uomo a rallegrar.
Gira sui ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar
Tra rossastre nubi
Storni di uccelli neri,
Com’esuli pensieri ,
Nel vespero migrar.
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Pianto Antico

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Dà bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Fu de l’inutil vita
Estremo unici fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
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IL sonetto

Dante il mover gli diè del cherubino
E d’are azzurro e d’òr lo circonfuse:
Petrarca il pianto del suo cor,divino
Rio che pe’versi mormora, gl’infusi.
La mantuana ambrosia e ‘l venosino
Miel gl’impetrò da le tiburti muse
Torquato ;e come strale adamantino
Contro i servi e’tiranni Alfier lo schiuse
La nota Ugo gli diè de’ usignolo
Sotto i ionii cipressi, e de l’acanto
Cinsel fiorito a’ suoi materni soli.
Sesto io no, ma postremo ,estasi e pianto
E profumo ,ira arte,a’miei di soli
Memorie innovo ed a i sepolcri canto.

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Piemonte

Su le dentate scintillanti vette
Salta il camoscio,tuona la valanga
Dà ghiacci immani rotolando per le
selve croscianti:
ma dei silenzi de l’effuso azzurro
esce nel sole l’aquila,e distante
in tarde ruote digradanti il nero
volo solenne .
Salve, Piemonte !A te con melodia
mesta da lungi risonante, come
gli epici conti del tuo popol bravo,
scendono i fiumi.
Scendano pieni,rapidi,gagliardi,
come i tuoi cento battaglioni,e a valle
cercan le deste a ragionar di gloria
ville e cittadi:
la vecchia Aosta di cesaree mura
ammantellata,che nel varco alpino
èleva sopra i barbari manieri
l’arco di Augusto:
Ivrea la bella che le rossi torri
specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno,fosca intorno è l’ombra
di re Arduino :
Biella tra ‘I monte e il verdeggiar de’piani
lieta guardante l’ubere con valle,
ch’armi ed aratri e a l’opera fumante
camini ostenta:
Cuneo possente e paziente,e al vago
declivio il dolce Mondavi ridente,
e l’esultante di castella e vigne
suol d’Aleramo;
e da Superga nel festante caro
de le grandi Alpi la regal Torino
incoronata di vittoria,ed Asti
repubblica.
Fiera di strage gotica e di l’ira
Di Federico,dal sonante fiume
ella .o Piemonte,ti donava il carme
nova d’Alfiere .
Venne quel grande,come il grande augello
ond’ebbe nome,e a l’umile paese
sopra volando,fulvo,irrequieto,
–Italia ,Italia—
egli gridava a’dissueti orecchie,
a i pigri cuori,a gli animi giacenti.
—-Italia , Italia —-rispondeano l’urne
d’Arquà e Ravenna :
e sotto il volo scricchiolavano l’asso
sé ricercanti lunga il cimitero
de la fatal penisola a vestirsi
d’ira e di ferro .
—-Italia, Italia!—- E il popolo de’morti
surse cantando a chiedere la guerra;
e u re a la morte nel pallor del viso
sacro e nel cuore
trasse la spada. Oh anno dei portenti,
oh primavera de la patria ,oh giorni,
ultimi giorni del fiorente maggio,
oh trionfante
suon de la prima italica vittoria
che mi percosse il cuor fanciullo!Ond’io,
vate d’Italia a la stagion più bella ,
in grigie chiome
oggi ti canto, o re dei miei verd’anni,
re per tanti anni bestemmiato e pianto,
che via passasti con la spada in pugno
ed il cilicio
al cristiano petto ,itolo Amleto .Sotto
il ferro e il fuoco del Piemonte ,sotto
di Cuneo ‘l nerbo e l’impeto d’Aosta
sparve il nemico .
Languido il tuon dell’ultimo cannone
dietro la fuga austriaca moria:
il re a cavallo discendeva contra
il sol cadente
a gli accorrenti cavalieri in mezzo
di fumo e polve e di vittoria allegri,
trasse, ed, un foglio dispiegato,disse
resa peschiera .
Oh qual da i petti,memori de gli avi ,
alte ondeggiando le sabaude insegne,
surse frementi un solo grido:Viva
il re d’Italia!

Arsa di gloria,rossa nel tramonto .
L’ampia distesa del lombardo piano;
palpitò il lago di Virgilio, come
velo di sposa
che s’apre al bacio del promesso amore:
gli occhi fissava il re:vedeva l’ombra
del Trocadero.

E la aspettare la brumal Novara
E a’tristi errori meta ultima Oporto.
Oh sala e cheta in mezzo dei castagni
Villa del Douro,

che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore!

Sfaceasi;e nel crepuscolo de i sensi
Tra le due vite al re davanti corse
una miranda vision: di Nizza
il marinaro

biondo che dal Gianicolo spronava
contro l’oltraggio gallico:d’intorno
splendeagli, fiamma di piropo al sole,
L’italo sangue.

Si gli occhi spenti scese al re una stilla,
lenta errò l’ombra d’un sorriso. Allora
venne da l’alto un vol di spiriti,e cinse
del re la morte.

Innanzi a tutti,o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
diè a l’aure primo il tricolar, Santorre
di Santarosa.

E tutti insieme a Dio scortaron l’olmo
di Carl’Alberto.—- Eccoti il re, Signore,
che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore,

anch’egli è morto, come noi morimmo,
Dio ,per l’Italia.Rendine la patria.
A i morti, a i vivi,pe’Ifumante sangue
Da tutt’i campi,
per il dolore che le regge agguaglia
a le capanne, per la gloria, Dio,
che fu ne gli anni, pe’I nartirio, Dio,
che è ne l’ora,

a quelle polve eroica fremente,
a questa luce angelica esultante,
rendi la patria, Dio, rendi l’Italia
a gli italiani.

Ceresole, reale,27 luglio 1890

Buona lettura CICCO53

Contributo di admin, 23 febbraio 2011 01:06.

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