Porzia ci delizia con la sua prima poesia in dialetto, in cui esprime tutto l’amore per la sua città d’origine : le è venuta di getto, scaturita dal cuore.
NAPOLI MIA
Stanotte, ‘aggio fatto ‘nu suonno
‘ca me pareva vero.
Stevo dint’ ‘a nu ciardino gruosso assaie
Assettata ‘ncoppa a ‘na panchina.
L’aria era doce e io guardavo ‘o cielo azzurro.
L’aucelluzze ,felice,vulavano e cantavano.
Attuorno a ‘mme tanti sciure culurate,
russe,gialle,rosa ,viola ….
Comme erano belli, me parevano ‘n’arcobaleno.
All’intrasatte veco da luntano comme ‘n’ombra che s’avvicinava.
Me pareva na signora elegante e bella assaie.
Me guardaie e me facette segno ,comme pe’ dicere :Viene,Viene…
Incuriosita mi avvicinai e con gentilezza le dissi:
-Buon giorno Signora,mi ha chiamato? Ha bisogno? –
Nun l’avesse mai fatto!! ,addeventaie ‘na belva , e tutta indignata
Brava brava ,me rispunnette, mo si diventata furastiera ?
Te si scurdata pure e me? che curaggio e tenuto ,traditrice…….
Cu nu felillo ‘e voce ,Le chiedo scusa signora,le dicette ,ma ci conosciamo?
Io song Napule nun l’è capito an cora?”
Murtificata,acalaie a capa e ‘ncuminciaie a chiagnere.
“Perdoname Napule mia, io nun t’aggio tradita,pe nu duvere io me trove ‘cca
Io stongo ‘cca pe figlie,hanno perzo ‘o pate
E io aggia mantenè o carro pa scesa
‘CCa sto bona ,tengo na bella casa,tengo tutto,nun me manca niente
Ma io penzo sempe ‘a casa mia c’aggio lasciata a Napule
Chiena d’allegria ,chiena e sentimente ,chiena e ricordi,
chella casa addò pe l’urdema vota aggio vasato ammore mio.
Mo so rimasta sola, prigioniera da’ malincunia e da tristezza,
e nun esiste niente ca ‘mo fa turnà….
Napule mia si te putesse dicere chello che tengo dint’ ‘o core mio
Te farria felice,perciò crideme tu si tutta a vita mia…
E’ overo so nata a Napule ma a Milano aggia murì
TRADUZIONE:
Stanotte ho fatto un sogno che mi sembrava realtà. Mi trovavo in un parco grandissimo,seduta su una panchina. L’aria era sottile ,ed io guardavo il cielo azzurro,gli uccellini che felici volavano e cantavano. Intorno a me tanti fiori colorati,gialli,rossi,rosa,viola,come erano belli,sembravano un arcobaleno .All’improvviso vedo da lontano un’ombra avvicinarsi ,sembrava una signora elegante e molto bella che appena mi vide mi fece un cenno come per dire:Vieni , vieni … Incuriosita mi avvicinai e con grande cortesia le dissi:-Buon giorno signora ,mi ha chiamato? Ha bisogno?Non l’avessi mai fatto diventò una belva , e indignata mi rispose”Brava ,brava sei diventata straniera? Ti sei dimenticata di me,che coraggio hai avuto ,traditrice….Con un filo di voce le dissi:”Le chiedo scusa signora ,ma…..ci conosciamo “Io sono Napoli ,non l’hai ancora capito? Mortificata ,abbassai la testa e cominciai a piangere”Perdonami Napoli mia ,io non ti ho tradita,mi trovo qua per un senso del dovere ,io sto qui per i miei figli. Hanno perso il padre ed io devo tenere le redini del carro .Qui sto bene ,ho una bella casa ,ho tutto e non mi manca nulla ,ma io penso sempre alla mia casa che ho lasciato a Napoli ,piena di allegria ,di sentimenti e di ricordi ,quella casa dove per l’ultima volta ho baciato il mio amore. Ora sono rimasta sola ,prigioniera della malinconia e della tristezza e non esiste nulla che lo fa ritornare da me. Napoli mia se potessi dirti ciò che ho nel mio cuore ti renderei felice ,perciò credimi sei tutta la mia vita .E’ vero sono nata a Napoli ma a Milano devo morire
Autore: Porzia
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Questa volta lasciami essere felice
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La nostra amica Porzia ci presenta un grande poeta dei primi del novecento:
Cesare Pavese
La poesia di C. Pavese si potrebbe collocare tra realismo e simbolismo.
L’aspetto più vistoso del suo appartenere al Decadentismo è dato dalla crisi del rapporto tra arte e vita in quanto avendo smarrito insieme ai valori tradizionali ogni volontà di agire, diventa incapace di affrontare l’esistenza,e gravemente disagiato nei rapporti umani . Egli diceva:” Ho imparato a scrivere ma non a vivere e quando scrivo mi sento normale , equilibrato e sereno.
Cesare Pavese è annoverato tra i migliori poeti dell’inizio del ‘900. La sua infanzia non fu molto felice anzi fu segnata dal dolore della morte di una sorellina e di due fratellini. A soli sei anni rimase orfano di padre, per cui la mamma dovette sostituirsi al marito nell’educazione dei figli.
Nonostante Cesare appartenesse ad una famiglia agiata nel 1916 si trasferirono per desiderio di sua madre in un paesino del comune di Torino. Fu lì che egli compì i suoi studi ginnasiali. In quel periodo si innamorò della letteratura così tanto che cominciò a frequentare la Biblioteca Civica e a scrivere i primi versi. Portò a termine gli studi liceali nel 1926 e scrisse delle poesie che gli furono respinte dalla rivista “Ricerca di poesie” intraprese gli studi universitari e nel 1930 presentò la sua tesi di laurea “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman”. Delusione impensabile, quando il professor Federico Oliviero che doveva ascoltare la sua tesi, la rifiutò perché improntata all’estetica crociana e quindi era troppo liberale per l’Età Fascista.
Per fortuna il professor di letteratura francese si offrì di ascoltarla e Pavese si laureò con 108/110.
Dopo la laurea il poeta perse anche sua madre e per guadagnare cominciò a svolgere la professione di traduttore. Non contento impartì lezioni private e insegnò in una scuola serale. Intanto continuò a scrivere poesie e conobbe una donna con la quale iniziò una relazione sentimentale.
Di lei scrisse: “…
L’ho incontrata una sera una macchia più chiara
Sotto le stelle ambigue nella foschia d’estate
Era intorno il sentore di queste colline
Più profondo dell’ombra e d’un tratto suonò
Come uscisse da queste colline, una voce più netta
E aspra insieme, una voce di tempi perduti …
Nel 1950 ricevette il meritato Premio Strega per l’opera “ La bella estate” . si innamorò di nuovo di Romilda Ballati, alla quale dedicò: “ Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
La delusione avuta da Romilda e la sua depressione lo portarono a compiere l’ultimo gesto della sua vita. Si suicidò in una camera d’albergo dove lo trovarono senza vita per aver ingerito numerosi sonniferi.
Cesare Pavese ci ha regalato davvero delle liriche dirette al cuore … peccato che non tutti riescono a leggerle o a condividerle.
Poesie tratte da:
La terra e la morte
Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo e stagione
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d’agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre,
la conca del braciere.
27 ottobre 1945
Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.
29 ottobre 1945
Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l’alba è silenzio.
E sei come le voci
della terra l’urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo ; le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.
Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come il cortile antico
dove s’apriva l’alba.
5 novembre 1945
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
9 novembre 1945
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all’urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s’odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all’urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno dette un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
19-20 novembre 1945
Poesie tratte da: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(11 marzo – 11 aprile ’50)
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell’aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.
21 marzo 1950
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
22 marzo 1950
Ho scelto questa poesia di Cesare Pavese perché mi è molto cara, in quanto mi ricorda, a parte un triste evento, ma anche un grande amore della mia vita durato fino alla morte e oltre la morte .
Si ,questa poesia è talmente significativa per me che sulla lapide di mio marito ho fatto incidere queste parole “Verrà la morte ,avrà i tuoi occhi….”perché quando arriverà quel momento per me io non avrò paura di morire ,saranno i suoi occhi che mi chiederanno di seguirlo e per me sarà ritornare a vivere felicemente con la sola persona che ho amato e che amo ancora. Ciao ti abbraccio
Da Porzia
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VOCI E COLORI DI NAPOLI
venerdi 26 ottobre 2010
Driinn!! La sveglia …….. apro gli occhi ,sono le sei ,mi alzo cammino come un automa ..La valigia pronta al’ingresso, corro , il pc,ah si sul mobile in sala c’è tutto credo di non dimenticare nulla . Preparo in fretta il caffè mentre rifaccio il letto velocemente. Vado a Napoli ,la mia Napoli , mi sembra tutto un sogno ,sono agitatissima. Improvvisamente un sobbalzo ,il citofono, mio figlio è venuto a prendermi per accompagnarmi all’aeroporto . Esco frettolosamente chiudo la porta scendo giù ,salgo in auto senza rendermi conto di ciò che faccio . Improvvisamente un urlo :”Mamma stai calma , ma perché questa agitazione,basta. Partiamo e in 5 min. arriviamo all’aeroporto. Check-in tutto ok .Salgo sull’aereo ,ho tutto il tempo di sedermi, di sistemare borsa e borsetta e finalmente si parte. Abbiamo decollato da Linate e in men che non si dica sono a Napoli Capodichino . Sono scesa dall’aereo e non credo ai miei occhi ecco la mia Napoli dove ho lasciato il mio cuore. Avrei avuto voglia di inchinarmi e baciare il suolo. Mentre i ricordi si affollavano nella mia mente ,da lontano vedo due persone che agitavano le braccia sono Davide e Pino le mie guardie del corpo che sono venuti a prendermi. Il tempo sembra non averli cambiati son rimasti fermi a 14 anni fa .Comincia la mia avventura napoletana….Arrivai a casa della mia ex collega Tina ,che mi aspettava sull’uscio .”Non sei cambiata per nulla,le dico,allegra disinvolta,accogliente come sempre . Ci abbracciammo cosi forte da sentire i battiti del nostro cuore. Entrammo in casa , andai in sala e trovai la tavola imbandita alla maniera napoletana. Pane ancora caldo , vino, acqua minerale, coca. Una pirofila fumante di spaghetti a vongole il cui profumo si diffondeva in tutta la casa,un vassoio con salsicce e friarielli(verdura tipica saltata in padella con tanto peperoncino) mozzarella di bufala campana, mele .mandarini e noci di Sorrento
Sono particolarmente felice perché quei profumi e quelle pietanze mi hanno fatto ricordare i giorni di festa in casa mia quando tutta la famiglia si riuniva intorno al tavolo per gustare il pranzo della domenica. La vita purtroppo ti riserva sempre delle sorprese. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno da Napoli mi sarei dovuta spostare a Milano? Proprio io che sono stata sempre legata alle mie radici,alle tradizioni e alle proprie abitudini.
Le ore volano e i giorni passano velocemente……Siamo a domenica….Ho deciso di recarmi al centro storico ..1^ tappa SANTA CHIARA. Man mano che mi avvicinavo all’antico monastero nell’aria si diffondevano le note di un’antica canzone……..Munastero ‘e santa Chiara tengo ‘o core scuro scuro ,ma pecchè pecchè ogni sera penzo a Napule comm’era penzo a Napule comm’èèèè………….Questa canzone fu scritta per ricordare la distruzione della basilica dopo i bombardamenti del 1943 e le parole che la compongono ti lasciano sempre l’amaro in bocca. La facciata della basilica è qualcosa di spettacolare,per il caratteristico rosone posto in alto e fu costruita tra il1310 e i 1340 per volere di Roberto D’Angio’ ed è la più grande basilica gotica della città
Proseguo la mia passeggiata e mi ritrovo nella famosa San Gregorio Armeno una lunga strada meta di molti turisti e dove si può ammirare l’arte secolare dei pastori di terracotta fatti a mano e dei presepi unici al mondo fatti di legno e sughero
Nell’aria si diffondono i profumi di Napoli che non è solo “monnezza” ,ma quelli caratteristici della città. Imbocco questa strada stretta dalle bancarelle dei venditori di pastori .All’interno dei grandi androni dei palazzi antichi invece si potevano ammirare presepi di ogni grandezza,dei veri e propri capolavori con pastori semoventi che rappresentavano fedelmente la vita vissuta 2000 anni fa.
Di tanto in tanto il profumo delle caldarroste misto all’odore di bruciato si univa al grido del venditore: “Accattateve ‘o cuppetiello ,so cavere,cavere…….2 Eur…
Traduz. Comprate il conetto con le castagne calde calde ,solo 2 euro.
.Ad ogni bancarella mi fermavo per ammirare quei capolavori di pastori impreziositi da vestiti fatti con stoffe luccicanti d’oro e d’argento erano così perfetti che a guardarli sembrava volessero parlarti .Gli angeli invece ,legati ad un filo di nylon facevano da cornice alle botteghe
Di tanto in tanto un profumo di incenso annunciava il passaggio di un omino vestito in modo strano che oscillava un barattolo di latta legato ad un fil di ferro nel quale bruciava dell’incenso .L’omino si fermava davanti alle persone e pronunciava parole di rito contro il malocchio in cambio di una monetina.
La strada diventava sempre più affollata ,mentre le bancarelle erano sempre più vuote perché la gente acquistava anche un piccolo capolavoro da portare a casa.
Proseguendo il cammino scorgo una bottega affollata di persone che aspettavano il loro turno per gustare la bontà della vera sfogliatella napoletana ,mentre un profumo intenso di zucchero e aromi vari si diffondeva nell’aria. Devo confessare che non ho saputo resistere ,sono entrata in questa piccola pasticceria ed ho comprato una sfogliatella ancora calda.
In un batter d’occhio la mangiai gustando in pieno quel sapore divino .
Il tempo scorre veloce e già è giovedì,alle 19.00 dovevo incontrarmi con le mie ex colleghe per andare ad Amalfi. Non vedevo l’ora di vederle, ero molto emozionata,finalmente avvenne il famoso incontro .Non sto a raccontarvi i baci, gli abbracci, i pianti di commozione……..Qualcuna era rimasta così come l’avevo lasciata 14 anni fa , qualche altra aveva un po’ i segni del tempo, ma tutte avevamo sul viso impressa tanta gioia e tanta felicità .Quante cose ricordammo in quelle ore ,i momenti belli vissuti con i nostri ragazzi ,le nostre litigate e la solidarietà e l’affetto che mi dimostrarono alla morte di mio marito momenti quelli che hanno lasciato un segno in ognuna di noi.
Quanne ‘o Pateterno facette Napule steve ‘e genie……nessuna affermazione è stata più esatta,è evidente che quando il Signore si dedicò alla nostra città ha battuto tutti i record. Noi siamo fortunati, in quanto napoletani,di appartenere ad una città unica e senza paragoni,piena di vitalità ma anche di grossi contrasti. Chi non ha radici tende a cancellare quelle degli altri per sentirsi uguale,ma noi per fortuna pur non avendo oro e petrolio,abbiamo la storia ,la cultura, la tradizione , tenimmo roba ca nun se po’ accattà. Abbiamo una cultura canora tutta nostra ,’O sole mio a canta tutto o munno e quando siamo all’estero ci presentiamo sì come italiani ma poi con orgoglio diciamo che siamo soprattutto napoletani.
Perdonatemi se vi ho annoiato con la mia lungaggine ma a Napoli glielo dovevo !!!!! Grazie per il vostro affetto e la vostra amicizia. Vi voglio bene tutti. Porzia
autrice : ponzia
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