Poesie di Eldy

Cesare Pavese

La nostra amica Porzia ci presenta un grande poeta dei primi del novecento:
 Cesare Pavese

primopiano_cesare_pavese

La poesia di C. Pavese si potrebbe collocare tra realismo e simbolismo.
L’aspetto più vistoso del suo appartenere al Decadentismo è dato dalla crisi del rapporto tra arte e vita in quanto avendo smarrito insieme ai valori tradizionali ogni volontà di agire, diventa incapace di affrontare l’esistenza,e gravemente disagiato nei rapporti umani . Egli diceva:” Ho imparato a scrivere ma non a vivere e quando scrivo mi sento normale , equilibrato e sereno.
Cesare Pavese è annoverato tra i migliori poeti dell’inizio del ‘900. La sua infanzia non fu molto felice anzi fu segnata dal dolore della morte di una sorellina e di due fratellini. A soli sei anni rimase orfano di padre, per cui la mamma dovette sostituirsi al marito nell’educazione dei figli.
Nonostante Cesare appartenesse ad una famiglia agiata nel 1916 si trasferirono per desiderio di sua madre in un paesino del comune di Torino. Fu lì che egli compì i suoi studi ginnasiali. In quel periodo si innamorò della letteratura così tanto che cominciò a frequentare la Biblioteca Civica e a scrivere i primi versi. Portò a termine gli studi liceali nel 1926 e scrisse delle poesie che gli furono respinte dalla rivista “Ricerca di poesie” intraprese gli studi universitari e nel 1930 presentò la sua tesi di laurea “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman”. Delusione impensabile, quando il professor Federico Oliviero che doveva ascoltare la sua tesi, la rifiutò perché improntata all’estetica crociana e quindi era troppo liberale per l’Età Fascista.
Per fortuna il professor di letteratura francese si offrì di ascoltarla e Pavese si laureò con 108/110.
Dopo la laurea il poeta perse anche sua madre e per guadagnare cominciò a svolgere la professione di traduttore. Non contento impartì lezioni private e insegnò in una scuola serale. Intanto continuò a scrivere poesie e conobbe una donna con la quale iniziò una relazione sentimentale.

Di lei scrisse: “…
L’ho incontrata una sera una macchia più chiara
Sotto le stelle ambigue nella foschia d’estate
Era intorno il sentore di queste colline
Più profondo dell’ombra e d’un tratto suonò
Come uscisse da queste colline, una voce più netta
E aspra insieme, una voce di tempi perduti …
 
Nel 1950 ricevette il meritato Premio Strega per l’opera “ La bella estate” . si innamorò di nuovo di Romilda Ballati, alla quale dedicò: “ Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
La delusione avuta da Romilda e la sua depressione lo portarono a compiere l’ultimo gesto della sua vita. Si suicidò in una camera d’albergo dove lo trovarono senza vita per aver ingerito numerosi sonniferi.
Cesare Pavese ci ha regalato davvero delle liriche dirette al cuore … peccato che non tutti riescono a leggerle o a condividerle.
Poesie tratte da:
La terra e la morte
 
Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo e stagione 
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d’agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre,
la conca del braciere.
 
27 ottobre 1945
 

 
Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.
 
29 ottobre 1945
 

 
Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l’alba è silenzio.
 
E sei come le voci
della terra  l’urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo ; le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.
 
Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come il cortile antico
dove s’apriva l’alba.
 
5 novembre 1945
 

 
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
 
9 novembre 1945
 

 
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
 
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all’urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s’odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose
combatteremo sempre.
 
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
 
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all’urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
 
Fin che ci trema il cuore.
Hanno dette un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
 
19-20 novembre 1945
 

 
Poesie tratte da: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(11 marzo – 11 aprile ’50)
 
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte 
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
 
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell’aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.
 
21 marzo 1950
 

 
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
 
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
  22 marzo 1950
Ho scelto questa poesia di Cesare Pavese perché mi è molto cara, in quanto mi ricorda, a parte un triste evento, ma anche un grande amore della mia vita durato fino alla morte e oltre la morte .
Si ,questa poesia è talmente significativa per me che sulla lapide di mio marito ho fatto incidere queste parole “Verrà la morte ,avrà i tuoi occhi….”perché quando arriverà quel momento per me io non avrò paura di morire ,saranno i suoi occhi che mi chiederanno di seguirlo e per me sarà ritornare a vivere felicemente con la sola persona che ho amato e che amo ancora. Ciao ti abbraccio
Da Porzia

 

Contributo di admin, 6 gennaio 2011 02:20.

Altre poesie

3 Commenti