Poesie di Eldy

CHI SEI

                                                                                            
Era li, sul ciglio della strada sotto l’ombra di un grande pioppo.
Il viso segnato da mille rughe scavate dal tempo, i suoi bianchi capelli svolazzavano
ad una leggera brezza..il suo sguardo si perdeva lontano, oltre l’orizzonte,
dove il cielo, si  abbraccia col mare.. . Passavo di li per caso..
lo guardai quasi di sfuggita..avevo fretta i miei passi erano veloci..
lo avevo appena lasciato dietro di me..quando all’orecchio mi giunse la sua voce.. .
Fermati a riposare un attimo, sei tutto sudato..mi girai di scatto..
l’uomo continuava a guardare lontano l’orizzonte..ero un po confuso..mi guardai intorno..
oltre me e quell’uomo non c’era nessuno.. .
Dici a me replicai.., l’uomo non rispose..
lo mandai a quel paese con un gesto della mano mentre riprendevo il mio cammino..
feci solo un passo..ancora quando quella voce parlò ancora.. .
Vieni a riposarti.. qui accanto a me, l’erba è soffice e l’ombra è grande.. .
Ancora mi voltai verso l’uomo.., questa volta mi fissava..vieni mi disse..siediti accanto a me..
solo un attimo.. fermati a respirare l’aria di questo cielo azzurro… .
Non so perché..ma tornai indietro , incuriosito..
Ci conosciamo dissi…. L’uomo con un cenno della mano mi fece cenno di sedermi,
senza rispondere alla mia domanda.. .
Mi sedetti accanto a lui..senza volerlo veramente…
lo guardavo cercando di scorgere qualcosa di familiare il quel suo volto.. 
Vedi, mi disse.., com’è grande il cielo..infinitamente grande..
nessuno può misurare la sua grandiosità ne contare le stelle che ci sono.
L’uomo parlava .. senza guardarmi in viso.. .
Cos’è dissi, una lezione di astronomia..non sono in vena di lezioni..
ed ho cose urgenti da sbrigare..ci conosciamo vecchio.. dimmi chi sei..
L’uomo continuava a fissare un punto lontano all’orizzonte.. .
Perché affannarsi, perché vuoi sapere chi sono..io conosco te .. il resto non conta..,
il tuo cuore è molto triste..ma in quella tristezza brilla sempre una luce..
e quella luce guiderà i tuoi passi..su questa strada.., sulla strada della vita.. .
La sua voce mi giunse dolce fino a dentro il cuore..adesso lo ascoltavo..con interesse..
Come fai a sapere di me..io non ti ho mai visto prima d’ora.. .
Ti conosco fin dalla nascita, rispose..di te so tutto..del bene e del male,
conosco i tuoi infiniti silenzi..conosco ogni lacrima ed ogni sorriso..
conosco le tue paure, e la sofferenza che hai provato..conosco l’amore che sai donare..
e la strada che percorrerai.. .
Mi alzai di scatto..indignato..chi sei risposi, che ne sai tu di me..
sei un mio parente che non conosco.. dimmi chi sei.. .
L’uomo per la prima volta posò il suo guardo nei miei occhi..
erano azzurri di un azzurro infinito..mi specchiavo in essi..
e vedevo riflessi di vita passata..vedevo lacrime e sorrisi..
vedevo la mia vita come in un film.. incapace di muovermi,  di dire una parola.. .
Il vecchio distolse lo sguardo..i suoi occhi brillavano di una luce mai vista..
nel mio cuore era scesa una pace infinita…
Chi sei mormorai..dimmelo ti prego…. Va in pace..sussurrò ,
non è da tutti incontrare quelli come me..ti sarò sempre accanto..non perderti mai..
Incredulo.. non avevo capito niente..lo guardavo mentre mi allontanavo..
sentivo una pace dentro..che non conoscevo.. chi sei  chi sei tu mi chiedevo..
ancora la voce mi giunse all’orecchio  sono ANGEL….
mi girai di soprassalto..sotto l’albero non c’era nessuno..
neanche lungo la strada ovunque posavo lo sguardo..
solo all’orizzonte .. nel punto in cui il vecchio fissava..il suo sguardo, 
vidi una luce..un piccolo globo che si spegneva..
autore: angel.vr:.

Questa poesia è stata scritta da admin, il 14 dicembre 2009 at 18:18, nella categoria: altri autori, francesco7. pv:. Lascia un tuo commento qui



CULO ALLEGRO…..

Un piccolo bar puzzolente di fumo, eravamo li ogni sera,
tra chiacchiere, risate, e il tintinnio del flipper che non smetteva mai.
Alle 22.50 tutti facevamo rientro in caserma  e, finalmente,
quel bar chiudeva i battenti.
Ogni sera, tra un bicchiere di birra e un panino ti vedevo arrivare,
eri come una fata, la fata dei sogni di tanti ragazzi, eri bella nei tuoi vent’anni,
coi tuoi capelli corvini, i tuoi occhi scuri, eri bella davvero,
con quelle gambe accavallate mentre bevevi il tuo succo d’arancia, eri bella. Quando qualcuno ti offriva una sigaretta e tu l’accettavi,
vedevo il tuo viso tra i cerchi di fumo,
di tanto in tanto incrociavo il tuo sguardo, poi, abbassavo il viso.. .
Tutti erano intorno a te e, tanti erano i fortunati, che tu,
ogni sera sceglievi per farti accompagnare a casa.
Osservavo ogni tuo movimento, ogni tuo sorriso,
ti vedevo uscire dal locale sempre con qualcuno diverso della sera prima,
non capivo perché lo facevi, sul tuo conto giravano mille voci,
il tuo nome era culo allegro per tutti, tranne per me, che me ne stavo in disparte,
chiuso nei miei pensieri.
Tranne qualche collega, aggregato come me, tutti, ci evitavano con rispetto, eravamo quelli dell’Albatros, gente strana, malati di testa, persone da tenere alla larga.
Quella sera giocavo a flipper, una sera come tante piene di fumo e caffè,
il solito tra tra di voci, col jubox che suonava, entrò qualcuno di corsa ,
era un allievo del trentottesimo, divisa strappata,il sangue che usciva  dal naso,
il viso tumefatto, tutti zittirono, la porta si aprì ancora e fecero irruzione cinque marinai americani,
erano quelli della LIittle Rok.. – PICCOLA ROCCIA -gente condannata che,
per non andare in galera, veniva arruolata nella marina statunitense,
Erano ubriachi, sbraitavano qualcosa d’incomprensibile, la rissa scoppiò istantanea,
tavole sedie bottiglie volavano da tutte la parti,
neanche mi resi conto mentre colpivo a destra e a manca,
che qualcosa di caldo mi colava dal braccio, era il mio sangue,
una bottiglia rotta mi aveva centrato.
La rissa continuò per parecchi minuti, fino a quando spuntò un coltello,
era fra le mani di un americano, vidi la lama conficcarsi nell’addome,
tutti eravamo atterriti, ci fermammo mentre il nostro collega si accasciava a terra.
Gli americani a quel punto scapparono, no! non poteva finire così.
Io e gli altri dell’ Albatros, ci guardammo in viso e l’inseguimmo in una corsa sfrenata,
finimmo in un vicolo, ancora calci e pugni e di nuovo quel coltello,
che volteggiava minaccioso nell’aria, tirai fuori a quel punto,la “Beretta”,
ma non ebbi il tempo, un colpo secco ruppe l’aria, il marinaio americano cadde a terra,
col sangue che gli usciva da una gamba, gli altri alzarono le mani arrendendosi,
qualche istante dopo ti vidi uscire da una porta, nel vicolo, mi guardasti negli occhi,
fu solo un attimo poi le tue braccia mi si buttarono al collo,
piangevi, tremavi come una foglia, ti strinsi è tutto finito dissi, finito..
Mi baciasti sulle labbra, fu allora che capii.
Io non ti avevo mai offerto una sigaretta, non ero mai uscito con te, non ero un tuo giocattolo,
eppure, mi avevi baciato e piangevi per me, io, uno dell’Albatros.
Arrivarono le forza dell’ordine, l’autoambulanza, la gente faceva capannello, arrivarono anche quelli del ‘MP – Military Police –
Ti salutai con la mano mentre un infermiere mi guardava il braccio, ti salutai così,
non ti avrei più rivisto, sarei partito in nottata per altra destinazione,
ma, ero felice di non essermi sbagliato, che, forse, non eri solo culo allegro.
Autore:francesco7.pv:

Questa poesia è stata scritta da admin, il 11 dicembre 2009 at 17:20, nella categoria: francesco7. pv:. Lascia un tuo commento qui



DOMANI SE NON SORGE IL SOLE è ANCORA OGGI

Il freddo, il buio di quel vicolo dove mi nascondevo come un animale braccato, è ancora vivo nei miei ricordi.
Ero di copertura ai miei compagni che si erano spinti in avanti, scomparendo in un nido di vicoli e viuzze, avevo posizionato il tubo dei fumogeni, ed ero teso come una corda di violino, il mitra colpo in canna mi tremava fra le mani, la pioggia che cadeva insistente si mischiava col sudore della paura , ero attento ad ogni piccolo rumore, ma non sentii, all’improvviso dal buio la faccia di quel ragazzo, la divisa diversa dalla mia, mi sbuco davanti, il mitra gli tremava nelle mani. Dio aveva più paura di me, una raffica spezzò il rumore della pioggia proprio quando lo buttai a terra disarmandolo, sembrava che pesasse mezzo chilo, ricordo che dal terrore non riuscivo a respirare, mentre lui disteso a terra parlava in un’altra lingua, ma capii che mi stava supplicando, mi pregava di non fargli del male, altre raffiche si sentirono alla mia sinistra ad ore nove, risposi al fuoco ingaggiando la battaglia, il ragazzo a terra a qualche metro da me, incominciò ad urlare si dimenava rotolandosi tenendosi  con le mani una coscia, lo guardai con terrore e rabbia, avrei voluto fermare il tempo ritornare bambino, ma non potevo, ho sentito la vita colare giù dai miei occhi, colava la rabbia, colava il rancore, colava l’amore che non ho saputo mai dare, continuai a sparare, poi silenzio, la pioggia riprese a battere, strisciai verso il ragazzo che non si muoveva più, era svenuto, diedi una rapida occhiata alla ferita, era seria il sangue veniva fuori a fiotti, un proiettile forse di rimbalzo, gli aveva reciso un’arteria, mi tolsi la sciarpa dalla gola e la legai stretta a monte della ferita, intanto il rumore infernale degli elicotteri che si avvicinavano mi spaccava le orecchie,entrava nel cervello sbattendo fra le pareti della mente, vidi la mia squadra rientrare di corsa scortando dei civili donne e bambini, li lasciai sfilare verso gli elicotteri e accesi i fumogeni, il mio sguardo si incrocio per un attimo con quello del ragazzo che, intanto, aveva ripreso i sensi e si lamentava. Arriveranno i tuoi a prenderti! te la caverai! gli dissi, forse mi capi, mi tese la mano, la strinsi forte e scappai via.
Il sole era pallido malato in quel nuovo giorno che stava nascendo, un filo di vento mi accarezzava il viso e i capelli sotto l’elmetto mentre le pale dell’elicottero giravano vorticosamente verso casa. Stavo male dentro, pensavo a quel soldato, come sarebbe andata se avesse avuto il tempo di reagire, mi avrebbe ucciso o io lo avrei ucciso.
Dio cos’ero diventato, eravamo addestrati a tutto ma non ci avevano insegnato a combattere quello che poi si prova dentro.
Autore:francesco7.pv

Questa poesia è stata scritta da admin, il 3 dicembre 2009 at 11:39, nella categoria: francesco7. pv:. Lascia un tuo commento qui



ERO ALLA STAZIONE

La divisa impeccabile, poche cose nella valigia, nel cuore l’emozione di chi torna  a casa,
anche se solo per una settimana, una settimana da trascorrere con te e gli amici,
compagni di sempre.
Ero li sulla banchina aspettavo il diretto delle 18,30.
Come mi avresti trovato dopo quattro mesi, coi miei capelli corti, cosa mi avresti detto,
nell’attesa di quel momento avevo immaginato parole e gesti,
non vedevo l’ora di rivedere quei tuoi occhi color castano,
di accarezzarti il volto, baciarti e stringerti a me.
Saresti venuta a prendermi, al mio arrivo e, per la prima volta avrei conosciuto tua madre,
volevo far colpo su di lei, mi ero permesso di portare un regalino.
Pensavo a questo, li, sulla banchina, quando, quelli della Polfer mi arrivarono da dietro.
Signore potrebbe seguirci in ufficio, per comunicazioni.
Li segui senza profferire parola, l’ufficiale di servizio mi tese la mano, si accomodi!
mi dispiace tanto! abbiamo ricevuto dieci minuti fa, questa comunicazione, legga lei stesso.
Per gravi motivazioni, codesto ufficio, è tenuto a rintracciare e comunicare a tutti i militari,
ufficiali e non, presenti in stazione, di fare rientro, con effetto immediato ai loro rispettivi comandi. Tale ordine è da ritenersi operativo dal momento del ricevimento della presente.
Cosa è successo chiesi, per emanare quest’ordine, qualcosa di grosso?
L’ufficiale mi guardò in viso. c’è stato un’attentato alla stazione di Bologna!
ci sono molte vittime!
Senta, la sua licenza a questo punto è revocata, mi dispiace molto, deve rientrare al suo comando di appartenenza.
Annuii con un cenno della testa, mi alzai, farò rientro immediatamente!
Signore dovrebbe consegnarmi il suo foglio di licenza,  provvederemo noi a spedirlo al suo comando.
Presi il foglio lo guardai un attimo e lo consegnai, erano i miei sette giorni da trascorrere con te
che si erano volatizzati in un attimo.
Quando ti avrei rivisto, quanta attesa ancora.
Al telefono scoppiasti a piangere, tu, che maledetto lavoro hai scelto!
Quella frase mi gelò il sangue nelle vene, rimasi senza parole, semplicemente riattaccai la cornetta e di te non seppi più nulla
autore: francesco7.pv:

Questa poesia è stata scritta da admin, il 2 dicembre 2009 at 11:20, nella categoria: francesco7. pv:. Lascia un tuo commento qui



IL VIAGGIO

Ho ancora negli occhi le corsie dell’autostrada, in gola il  fumo per l’ennesima sigaretta fumata,
ho guidato per ore, finalmente ci sono.
Ecco la mia vecchia casa immersa nel buio della notte, circondata  dell’erba ghiacciata tutto intorno, quante emozioni, dopo anni di assenza.
Prendo la chiave della porta nel solito posto, la vecchia crepa nel muro, apro,
un odore di chiuso m’investe, non ci abita più nessuno qui da tanto tempo,
entro non c’è corrente, accendo la torcia tascabile, guardo intorno tutto è come lo lasciai.
Apro la finestra che da sul giardino sul retro, intravedo qualche stella,
cerco la mia speciale, eccola..è sempre li col suo brillio eterno.
Sul vecchio tavolo, al centro della stanza, capeggia un piccolo mazzo di fiori freschi,  sotto c’è un biglietto, è per me, continuo a guardare, sul muro il vecchio scaffale ancora coi miei libri di scuola e  gli enormi  rotoli dei fogli da disegno, più in la, appesa ad un chiodo, la foto di mio mio padre, sembra osservarmi, quasi sorridere, più in là, la vecchia cucina e il lavello, la credenza coi suoi cassetti pendenti e nell’angolo il mio vecchio lettino ancora col materasso di spugna.
Io sono nato qui, questo era il mio piccolo e immenso mondo, una stanza tutto in uno, solo il bagno è esterno.
Fa un freddo cane, il riscaldamento qui, nelle fredde giornate d’inverno, era solo il braciere..
Mi siedo, leggo il biglietto scritto per me, è di mia sorella, povera vecchia da quanto tempo non ci vediamo:
Caro fratello, ho fatto tutto quello che mi hai detto per telefono, come sai io vivo con Lella,
dice che non posso stare più da sola, ormai sono vecchia e i miei ottantadue anni si sentono,
ho sempre la bronchite e le cataratte che non mi fanno vedere bene.
Ti aspetto sempre perché vorrei tenerti un po con me,
tu me lo prometti sempre, ma non vieni mai, mi hai detto che riparti subito, che non fai in tempo a venirmi a salutare, sei sempre di corsa, avrai i tuoi buoni motivi!
Nella credenza c’è il caffè, è la marca che ti piace, la moka è al solito posto..
Lella ti ha rifatto il letto, mettiti le coperte che è umido, ricordati di chiudere la bombola del gas e non fumare sempre che ti fa male..ti voglio bene! bada sempre a te, ti abbraccio .
Un nodo di pianto quasi non mi fa respirare, mi alzo preparo il caffè e l’aria s’inonda del suo profumo, lo sorseggio è nero bollente sa di antico.
Guardo l’orologio, sono le tre di notte, mi tolgo il giaccone, poi l’ascellare, li metto sulla sedia che fa da comodino accanto al letto, sento le lenzuola profumate di bucato, mi stendo, è freddo,
tanto che sa di bagnato.
Sono molto stanco che non riesco a chiudere occhio, con la pila osservo la foto di mio padre, classe 1888, se ne andò in una calda sera di luglio del 1967.,proprio qui,
in questa stanza, su questo letto, mia madre lo seguì alcuni mesi dopo,
ricordo quei giorni come se fosse ieri,
Ricordo la loro mancanza e i miei disperati giorni di solitudine in cui continuavo a cercarli
ero solo un ragazzo di dieci anni.
Una notte in sogno vidi mia madre,.mi disse di non soffrire troppo per la sua mancanza lei sarebbe stata sempre accanto a me anche se non la vedevo
Ricordo le parole di mio padre,un giorno sotto l’ombra di un grande pioppo guardando l’acqua del ruscello che passava proprio dietro casa. Disse:( la vita è come l’acqua di questo ruscello, scivola via e non torna mai indietro) io non capivo, guardavo l’acqua scorrere, ma non capivo e lui, con una carezza mi sussurrò, (un giorno da grande capirai)
Continuo a non chiudere occhio, mi alzo è troppo freddo qui, rifaccio il caffè, guardo l’orologio sono le quattro del mattino, decido di lavarmi il viso, l’acqua è ghiacciata, la sento gelarmi il viso, ma poi sorrido è l’acqua di casa mia
Fuori le stelle brillano ancora, la mia stella è sempre li,.. l’osservo come facevo da bambino,
mi siedo e scrivo due righe a mia sorella-
 Grazie di tutto, mi dispiace di non avere tempo,  anch’io ti voglio tanto bene e ti abbraccio forte forte, lo so che hai la bronchite, e Lella ha ragione, non puoi stare da sola,
sei caduta già due volte,perciò, fai la brava, lo so che ti manca casa e i tuoi gatti,
ma con tua figlia stai bene e non ti manca nulla.
Io riparto fra pochi minuti , ho pensato, visto che fra pochi giorni è Natale, di lasciarti un piccolo pensiero. Questo è un assegno da un milione, cinquecento mila lire sono per te,
l’altra metà dalla a Lella, suo marito è senza lavoro, gli faranno comodo, ti lascio le foto dei miei ragazzi, mi sono ricordato, sono cresciuti ma li riconoscerai, ti voglio bene!
non litigare com’è tuo solito con Lella, ti abbraccio e ti prometto che prima o poi verrò a stare qualche giorno con te. un bacio tuo fratello.
Riguardo l’orologio, quasi le cinque , è ora di andare, rimetto l’ascellare e il giubbotto,
riprendo la ventiquattrore, chiudo la bombola del gas, quasi lo scordavo,
chiudo la finestra, ma prima do un ultimo sguardo alla mia stella speciale,
sono sulla porta, ancora un sguardo intorno, osservo di nuovo la foto di mio padre, adesso si, mi sorride., alzo la mano a mo di saluto, ho negli qualcosa che brilla e nella mente, nascosta fra mille pensieri  quella frase. LA VITA è COME L’ACQUA DEL FIUME SCORRE VIA E NON RITONA INDIETRO  so che non tornerò mai più qui, ma venirci adesso non è stato inutile.
Rimetto la chiave al suo solito posto, nella crepa sul muro, chiudo il cancello, solo il rumore del motore rompe il silenzio, riparto,
torno a casa come sempre alla fine di un lavoro.
Autore:francesco7.pv:

Questa poesia è stata scritta da admin, il 30 novembre 2009 at 12:01, nella categoria: francesco7. pv:. Lascia un tuo commento qui



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