Poesie di Eldy

Il calice e il pendaglio

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Il calice e il pendaglio

Nuovamente sono affiorati
i giorni che si infransero
contro il muro del tempo
e non un coccio d’essi potei salvare
se non quello che incollai
sul rovescio di un pendaglio
che trionfalmente esibisco
come il mio giorno migliore.

Di tutti questi giorni
sgonfiati dal livore solare
non uno mi accompagna nel presente
se non questo finito
sul fondo silenzioso di un vuoto calice
e lo sorveglio con maestà di soldato
col tremore che possa infrangersi
e inutilmente morire d’oblio.
autore:Calcio

Questa poesia è stata scritta da admin, il 7 dicembre 2010 at 12:14, nella categoria: calcio2.ce. Lascia un tuo commento qui



Ai miei poeti giovanili e cari

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Una generazione ha ballato con le chitarre
di piazza Maggiore. Si è nutrita di pane rosso
di Gregory Corso e Walt Whitman
e del genio di Rimbaud l’adolescente.
Di marijuana che correva folle tra i figli
più infettati di dolcezza. E di far scuola
disegnando muri di paradisi astratti
e le parole insonne gonfiate dal mattino.
E si parlava di spazi alternativi o di
compagni fuggiti sulla Luna a vivere
di miele e di pazzia nei sacchi a pelo
tra gli Appennini e il mare americano.
Guardavo le mie mani impolverate che
aprivano universi nuovi: i libri simbolisti
di Campana e poi il Pasolini maledetto
e gli africani viaggi di Hamingway
e l’oriente di Hermann Hesse con
il suo lucido Budda illuminato e tu
povero Lorca fucilato, quasi per sbaglio,
sognavi senza mascherare una tua fede
e correvi verso il treno della vita ma
di rosso drappeggiato fu il tuo canto
e poi Pavesi dei miei vent’anni asciutti
vederlo emarginato in quell’albergo
nell’ultima notte di una Torino anni 50
suicida poi per amore inviso per
una figlia di quell’America reietta,
al bizantino fiore che ci illuse di profeti
col passo incerto dell’alternativa.
E il caldo vino di Fenoglio e le sue
Langhe natie dal seno prosperoso
e asprigno dove Pavesi e Davide Lajolo
nella campagna aperta discutevano se
Il mestiere di vivere è un vizio assurdo.
Al poeta lucano più contadino Rocco,
che cantava all’uva puttanella, al grano,
al rosolaccio, alla fatica: tu Scotellaro
senza più misteri guardavi il mondo
come impegno amaro e non curavi
i sogni artificiali, numerati, dei trip
psicadelici, dei vuoti sballi dei figli
dei fiori di campagna. Per te campagna
è lotta è piena occupazione di lavoro.
E voi miei compagni di sfilate in cortei
coi pugni alzati a far rivoluzione
si discuteva di governi e lotte e poi
di donne, fiere femministe, che al suono
dei tamburi urbani, uscivano di casa
pronte a saltare come streghe il fosso
pronte a incontrare nella piazza amica
il sogno del poeta che ballava.
O tu poeta architetto, Danilo Dolci,
pioniere dei laghi artificiali non
hai guardato il mondo del successo
ma io ti ricordo e ammiro il tuo laico credo.
Ma il pazzo più smanioso assetato di stupide
Utopie accarezzate con lucida mania ero
proprio io con le mani sciolte nei colori
della vita a sorvegliare i sogni della terra.

autore:calcio2.ce
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Questa poesia è stata scritta da admin, il 5 novembre 2010 at 20:48, nella categoria: calcio2.ce. Lascia un tuo commento qui



Un inno ai poeti …E a te mia dolce Franci

Un inno ai poeti …E a te mia dolce Franci
…Voi tutti siete morti eppur vivete
Nel mezzo del mio cuore e della terra
Un folto canto s’alza dei poeti,
di voi maledetti, il sangue ho asciugato,
di voi pazzamente il cerebrale ventre
ho riempito di canori fluidi e di chimere!
Quanti di voi son caduti prima?
Quanti di voi han vissuto a lungo?
I poeti muoiono giovani e le poesie
hanno il candore di restare eterne
mentre voi non rimanete e si vorrebbe
che tutti i fiumi acqua del mare ai monti
recherebbero. Scomodi poeti figli di
profeti sognatori che nel fumo della
pace incendiarono città mai viste.
Dai fiumi trionfanti, a mucchi,
uscirono gli accordatori di utopie
uscirono per abbracciare i fiori
e il vento si inchinò e il mare
si raggruppò nel cuore della terra
perché i poeti si erano alzati e
avevano parlato nelle loro visioni
di vita nuova e di Eldorati brulicanti
d’amore speziato e perfino il cielo
si curvò ad ascoltare le nuvole
trattennero le piogge perché dagli
occhi dei poeti fiamme uscirono,
torrenti uscirono, perché voi soli
di tutte le creature alate sapete
piangere e sapete rompere il silenzio.
Quanti di voi son caduti prima
Per una polvere bianca o per il vino?
Voi compagni del mio tempo:
tutti della scuola men che io
che lavoravo a fabbricare i muri
questa è stata per me la mia salvezza:
il non ricevere il facile denaro,
capire un dolore e non fuggire via
tenere forte il viso nel lavoro
e poi viaggiare a sera di Poesie.
O rimanere nel chiassoso buco
dell’infinita piazza consumata nel
premere la mammelle della dea Sofia.
A voi compagni persi per la strada
a voi poeti decadenti e persi,
divorati dal tripudio magico del verso
voi senza fratello senza più sorella
dov’è il baluardo di tutte le utopie?
Dov’è la terra rossa coltivata
con braccia comune e con comune idea?
Dov’e’ la gioia, la calma, l’allegria
di una terra unificata e fiera?
Ribellarsi alla vita tutti i giorni
e nelle tasche piene di perdizione
di tutte le poesie buttate e lette
di tutti voi cantori della terra
non resta che un intruglio passeggero
d’amore e d’odio e d’altro amore spero!
Autore: Calcio

Questa poesia è stata scritta da paolacon.eldy, il 17 ottobre 2010 at 00:23, nella categoria: calcio2.ce. Lascia un tuo commento qui



Strane creature

zzznpoeta

Strane creature
Che strane creature i poeti
mentre parlano nel notturno
silenzio della morte
sognano la vita.
Che strane creature i poeti
mentre parlano nel sole che dona
coriandoli di allegria e vita
sognano la morte.
Che strane creature i poeti!

autore: calcio2.ce

Questa poesia è stata scritta da paolacon.eldy, il 19 aprile 2010 at 17:54, nella categoria: calcio2.ce. Lascia un tuo commento qui




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