Poesie di Eldy

Uomini

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Uomini

Sono un uomo vero,
anzi, molto meglio,
sono un vero uomo.
Da sempre porto avanti,
la mia personale battaglia,
per difendere la mascolinità.
Uno uomo o è maschio o non lo è,
non ci possono essere alternative.
Immaginate un’auto che procede,
controsenso ? Quali potrebbero
essere le conseguenze ?
Non ci possono essere autostrade,
dove ognuno va nel senso che vuole,
no, non è così, è inammissibile.
Sono un vero uomo,
forse un pò arretrato,
certi termini di oggi,
non li capisco proprio.
Trans, ad esempio,
io conosco Transilvania,
transalpino, forse
vorrà dire transformato?
Se è così, mi dissocio,
a prescindere, che sono
questi transformismi ?
Adesso si usa il termine
“diverso” forse l’unico
che riesco a comprendere.
Infatti sicuramente sarà
diverso da me che amo le donne.
Senza esagerare, non occorre
proprio l’amore, basta usarle
le donne, cuoche, cameriere,
lavandaie, eventualmente,
anche per soddisfare
qualche piccolo capriccio.
E se cercano di ribellarsi
qualche calcio, pugno e
torneranno alla ragione.
Perchè così fanno i veri
uomini, ed io sono
un uomo vero.
Basta con questa
lagna di uguaglianze,
di razze, colori,
tutte ipocrisie non
adatte a chi sa di
appartenere ad una casta,
la casta degli uomini duri.
Purtroppo anche noi abbiamo
il nostro tallone d’Achille,
si sono scordati di
fornirci di cervello.

Autore:Antonino8.pa

Questa poesia è stata scritta da admin, il 6 febbraio 2011 at 04:54, nella categoria: antonino8.pa. Lascia un tuo commento qui



Edgar Allan Poe

Edgar Allan Poe

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Edgar Allan Poe, 19 gennaio 1809 –7 ottobre 1849, scrittore e poeta statunitense, considerato tra le figure più importanti della letteratura americana, di grande inventiva, ha anticipato generi letterari quali il romanzo poliziesco (il suo personaggio Auguste Dupin si può considerare l’antenato più diretto dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle), e la fantascienza.
E’ generalmente considerato uno dei padri della moderna letteratura americana.
La sua non fu certo una vita facile, i numerosi debiti, l’alcool, la povertà. La morte della moglie fece sprofondare lo scrittore nella più cupa desolazione, travolto dal dolore e dal rimpianto, affogò ancor di più nell’alcool.
Il 3 ottobre 1849 Poe fu ritrovato delirante nelle strade di Baltimora, portato all’ospedale Washington College, morì il 7 ottobre 1849.
Durante gli ultimi anni della sua vita, Poe compose alcune tra le più belle delle sue poesie.
Come disse il poeta Charles Baudelaire, primo a tradurlo ed introdurlo in Europa, la poesia di Edgar Poe è qualcosa di profondo e di splendente come il sogno, di misterioso e perfetto come il cristallo.
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Solo

Fanciullo, io già non ero
come gli altri erano, nè vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni – nè mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Nè il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l’amai da solo.
Allora – in quell’età – nell’alba
d’una procellosa vita – fu derivato
da ogni più oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m’avvince –
dai torrenti e dalle sorgenti –
dalla rossa roccia dei monti –
dal sole che d’intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali –
dal celeste baleno
che daccano mi guizzava –
dal tuono e dalla tempesta –
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l’altro cielo)
d’un demone alla mia vista -.
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Il giorno più felice

Il giorno più felice – l’ora più felice
questo mio inaridito cuore ha già conosciuto;
ogni più alta speranza di trionfo e d’orgoglio
sento ch’è fuggita via.

Trionfo? Oh sì, così fantasticavo;
ma da gran tempo svanirono ormai
le visione di quel mio giovanile tempo –
e sia pur così.

E quanto a te, orgoglio, che dirti?
Erediti pure un’altra fonte
quel veleno che approntasti per me –
Ora acquietati, o mio spirito.

Il giorno più felice – l’ora più felice –
che quest’occhi avrebbero visto – hanno già visto,
il rifulgente sguardo di trionfo e d’orgoglio
sento che è spento ormai.

Ma mi fosse pur riofferta quella speranza
di trionfo e d’orgoglio, e con la pena
che allora avvertivo – quella fulgente ora
io non vorrei riviverla:

giacchè oscure scorie erano su quelle ali
e, al loro agitarsi, una maligna essenza
ne pioveva – fatale per un’anima
che già l’ha conosciuta.
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La stella della sera

L’estate era al suo meriggio,
e la notte al suo colmo;
e ogni stella, nella sua propria orbita,
brillava pallida, pur nella luce
della luna, che più lucente e più fredda,
dominava tra gli schiavi pianeti,
nei cieli signora assoluta –
e, col suo raggio, sulle onde.
Per un poco io fissai
il suo freddo sorriso;
oh, troppo freddo – troppo freddo per me!
Passò, come un sudario,
una nuvola lanugiosa,
e io allora mi volsi a te
orgogliosa stella della sera,
alla tua remota fiamma,
più caro avendo il tuo raggio;
giacchè più mi allieta
l’orgogliosa parte
che in cielo svolgi a notte,
e di più io ammiro
il tuo fuoco distante
che non quella fredda, consueta luce.
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I recessi ombrosi dove in sogno io vedo
i più vaghi uccelli canori,
son come labbra – e tutta la tua melodia
di parole cui il labbro da forma. –
I tuoi occhi, gemme nel cielo del cuore,
desolati si posano allora,
o Dio!, sulla mia mente funerea –
luce di stelle su un nero drappo.

Il tuo cuore – il tuo cuore! Mi ridesto
e sospiro, e dormo per sognare
di quella verità che l’oro non può mai comprare –
e di quelle futilità che sempre può, invece.
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A mia madre

Poichè io ben sento che negli alti cieli
gli angeli, bisbigliando l’uno all’altro,
parola non trovano, fra i loro ardenti accenti,
che sia più devota di quella di “madre”
io già da tempo a te ho dato quel caro nome –
a te che più che madre mi sei e che mi ricolmi
il cuore, dove Morte t’installò, lo spirito
liberando, al contempo, della mia Virginia.
La mia propria madre, che così presto mi lasciò,
non fu che di me solo madre; ma tu sei madre
di colei che io così caramente ho amato:
sicchè a me più cara tu sei dell’altra
per quell’infinita via per cui la mia sposa
fu alla mia anima più cara che la vita stessa.
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Un sogno dentro un sogno

Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,
lascia che io ti dica
che non sbagli se pensi
che furono un sogno i miei giorni;
e, tuttavia, se la speranza volò via
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nient’altro,
è forse per questo meno svanita?
Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno.

Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono sul mare!
Ed io piango – io piango!
O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?
O Dio! Mai potrò salvarne
almeno uno, dall’onda spietata?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro un sogno?
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Un sogno

In visioni di notturna tenebra
spesso ho sognato svanite gioie –
mentre un sogno, da sveglio, di vita e di luce
m’ha lasciato col cuore implacato.

Ah, che cosa non è sogno in chiaro giorno
per colui il cui sguardo si posa
su quanto a lui è d’intorno con un raggio
che, a ritroso, si volge al tempo che non è più?

Quel sogno beato – quel sogno beato,
mentre il mondo intero m’era avverso,
m’ha rallegrato come un raggio cortese
che sa guidare un animo scontroso.

E benchè quella luce in tempestose notti
così tremolasse di lontano –
che mai può aversi di più splendente e puro
nella diurna stella del Vero?
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A f.

O mia amata, fra i dolenti affanni
così folti sul mio terrestre sentiero –
triste, ahimè! – dove mai non cresce
un fiore, mai alcuna rosa solitaria –
trova sollievi almeno l’anima mia
in molti sogni di te: e conosce allora
un Eden di blando riposo.

Così, dal ricordo di te si distilla
in me un’isola d’incanto, lontana,
in mezzo a un tumultuante mare –
fremente oceano e immenso, esposto
ad ogni tempesta – nel mentre che, intanto,
i più sereni cieli, continuamente,
solo sorridono su quell’isola fulgente.
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A una in Paradiso

Eri per me quel tutto, amore,
per cui si struggeva la mia anima –
una verde isola nel mare, amore,
una fonte limpida, un’ara
di magici frutti e fiori adornata:
e tutti erano miei quei fiori.

Ah, sogno splendido e breve!
Stellata speranza, appena apparsa
e subito sopraffatta!
Una voce del Futuro mi grida
“Avanti, avanti! ” – ma è sul Passato
(oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia
tacita, immobile, sgomenta!
Perchè mai più, oh, mai più per me
risplenderà quella luce di Vita!
Mai più – mai più – mai più –
(è quel che il mare ripete
alle sabbie del lido) – mai più
rifiorirà un albero percosso dal fulmine,
nè potrà più elevarsi un’aquila ferita.

Vivo, trasognato, giorni estatici,
e tutte le mie notturne visioni
mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
a là dove tu stessa ti porti e risplendi,
oh, in quali eteree danze,
lungo rivi che scorrono perenni.

Questa poesia è stata scritta da admin, il 2 febbraio 2011 at 14:16, nella categoria: antonino8.pa. Lascia un tuo commento qui



Eden

Eden

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Conoscerti è stato immergersi
in un fantastico sogno,
un viaggio nell’isola dell’amore.

Paradiso ritrovato degli amanti,
di passioni bruciate
al lume di compiaciute stelle.

Languidi baci, tacite parole,
volan silenti tra labbra,
prendendo per mano il cuore.

Cercarsi di corpi tremanti,
intenso fuoco che arde,
consumando i sensi.
Autore: Antonino8.pa

Questa poesia è stata scritta da paolacon.eldy, il 1 febbraio 2011 at 16:33, nella categoria: antonino8.pa. Lascia un tuo commento qui



Caminata (Camminata)

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Fuinu currennu l’anni,
passa accussì a vita,
na’ strata cu scinnute e acchianati,
ma vali sempri a pena
di fari stà longa caminata.

Di ggioie e di duluri sacciu parrari,
di chianti e di risati, è chinu ’stu me cori,
puri l’amuri mi vinni a truvari,
pì cunnucirimi ‘ntà munni scanusciuti.

Passanu l’anni , ‘ncumincianu l’ossa a pisari,
taliannumi ‘nto specchiu ,sai, un m’ arricanusciu,
ma, fattu strammu, quannu ti talìu, anima mia,
ti viu comu tannu, comu na lu tempu di la picciuttanza.

Quanti miracula riniesci a fari l’amuri,
comu tannu ancora nn’abbrazzamu,
comu si fussi sempri a prima vota.

Accussì, manu nta manu camminamu pì sta strata,
iamu incontru a chidda chi sarà a nostra sorti,
nenti e nissunu nni pò siparari,
nnenti e nissuno , tu giuru, mancu doppu a morti.

Camminata

Fuggono di corsa gli anni,
così passa la vita,
simile ad una strada, con discese e salite,
ma che vale sempre la pena di percorrere.

Ho conosciuto gioie e dolori,
pianti e risate conservo nel mio cuore,
anche l’amore mi è venuto a trovare,
per condurmi in mondi sconosciuti.

Passano gli anni e la stanchezza comincio a sentire,
sai, guardandomi allo specchio stento a riconoscermi,
ma, fatto strano, quando ti guardo, anima mia,
ti vedo come allora, come al tempo della giovinezza.

Quanti miracoli riesce a far l’amore,
come allora ancora ci abbracciamo,
come se fosse sempre la prima volta.

Così mano nella mano, percorriamo questa strada,
andando incontro alla nostra sorte,
niente e nessuno potrà separarci,
niente e nessuno anche dopo la morte.

Autore :Antonino8.pa

Questa poesia è stata scritta da admin, il 26 gennaio 2011 at 04:37, nella categoria: antonino8.pa. Lascia un tuo commento qui



Alda Merini

Alda Merini

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Alda Giuseppina Angela Merini 21 marzo 1931 – 1 novembre 2009.
Di Alda si conosce quel poco che lei stessa scrisse .
Si sa dunque che era una ragazza sensibile e dal carattere melanconico.
Esordisce come autrice giovanissima, a soli quindici anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti che scoprì il suo talento artistico. Nel 1947 la Merini viene internata nella clinica Villa Turro dalla quale uscirà dopo qualche mese.
Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, con la lirica “Il gobbo”, datata 22 dicembre 1948, e “Luce”, del 22 dicembre 1949. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e di Maria Luisa Spaziani, l’editore Giovanni Scheiwiller stampa due poesie inedite dell’autrice in “Poetesse del Novecento”.
Nel periodo che va dal 1950 al 1953 la Merini frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo.
Ad agosto del 1954 viene pubblicato il primo volume di versi intitolato “La presenza di Orfeo”. Nel 1955 esce la seconda raccolta di versi intitolata “Paura di Dio” con le poesie che vanno dal 1947 al 1953 alla quale fa seguito “Nozze romane” e nello stesso anno, edita da Bompiani, viene pubblicata l’opera in prosa “La pazza della porta accanto”.
Dopo “Tu sei Pietro” inizia un triste periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all’internamento al “Paolo Pini”, che dura fino al 1972.
Si alterneranno in seuito periodi di salute e malattia, probabilmente dovuti alla sindrome bipolare, della quale hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti.
Una poesia molto coinvolgente quella della “poetessa dei navigli” che non può non prendere chiunque si metta a leggere i suoi versi, una donna che sicuramente merita molto più spazio di quanto ha avuto, che ci contagia con la sua grande sensibilità non comune, figlia anche del dolore e della malattia.
Per questo ho pensato fosse giusto trascrivere alcune sue poesie, tra le mie preferite.
Per ultimo una sua frase: “……si può essere qualcuno semplicemente pensando……”

Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

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Amore,
vola da me
con l’aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l’ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d’albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa’ delle due braccia
due ali d’angelo
e porta anche a me un po’ di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa

——————–

Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.

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Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.

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Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.

———————————————

Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d’amore per te.

Elaborazione fatta da :antonino8.pa
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Questa poesia è stata scritta da admin, il 24 gennaio 2011 at 06:18, nella categoria: antonino8.pa. Lascia un tuo commento qui



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