Senti che la luce del mattino
ti è amica
e il primo saluto dello specchio
è un sorriso
è ora di correre fuori
verso tutto ciò che è ancora vivo
prima che questa buona luce passi
e con lei la voglia di continuare.
autore:francomuzzioli:
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………………. Mi mancherai e ti mancherò, andrò lontano per vie sconosciute, incrocerò nuovi sguardi, e in quegli occhi cercherò i tuoi, sentirò le tue parole, e ti vedrò mentre mi aiuti ad indossare il mio paltò.. Abbi cura di te..non metterti guai, e mangia che sei tutto ossa.. . Fra la nebbia e il grigio fumo della ferrovia ingoiavo anche quell’addio.., mentre guardavo l’orologio fermo a un tempo di tre anni fa. La casa sarà vuota senza di te,e non è vero che fai solo baccano con la batteria.. . Adesso va..sali sul treno, sei un uomo ormai..va incontro alla tua vita..e non tornare, qui non c’è niente per te, solo miseria e delusione..va e che il buon Dio ti accompagni. .e così l’ultimo abbraccio .Dai vetri vedevo case e alberi passare in fretta, per poi svanire..pensavo a quelle parole.. non tornare mai..ma il cuore gridava , è la tua terra..li sei nato, li hai tutto il tuo mondo, un mondo fatto di niente..di pietre bianche e ricordi amari.. che fai.. .Il treno andava veloce, la guerra era iniziata..una guerra tra mente e cuore..una guerra che lascia i segni.. . Son passati gli anni, ci penso sempre a quel giorno, non sono più tornato,ci sono ancora pietre bianche..e niente più, riflesso nei vetri della finestra..guardo la neve cadere.. mentre una voce sussurra nel cuore.. Cosa cerchi ancora, non l’hai capito.. .La tua terra è quella dove un giorno riposerai.
autore :alfa.cb:
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Parafrasando una famosa canzone di Luco Dalla “noi che siamo di Genova “il mare lo abbiamo nel DNA.
E chi come me arrivava a Genova dalla perifriferia verso i monti, si trovava all’improvviso uno spettacolo meraviglioso: una distesa di navi alla fonda che pazientemente aspettavano giorni e giorni per poter attraccare al molo , essere scaricate e poi ripartire per altri mesi di mare attorno al mondo.
Il porto brulicava di persone: era un formicaio. Marinai, operai, affaristi, falegnami, tubisti, brasatori,
Gente scalza e persone col turbante, facce bruciate dal sole ; neri coi capelli ricci e gli occhi rossi che per un ragazzo di quattordici anni come me era impossibile non guardare meravigliato.
Pasquale quella mattina mi disse:< Nan, oggi vieni con me, andiamo a bordo>.
Era una specie di parlare in codice. Non era necessario specificare. Sentirsi dire NAN da un anziano era un complimento, dire andiamo a bordo significava che quella mattina saremmo usciti dall’officina e passando per i carrugi di Genova, saremmo entrati in porto. Solo pochi eletti lo potevano fare: c’era la Guardia di Finanza e la Polizia che controllavano gli ingressi. Ero con Pasquale….. ero con lui, lo accompagnavo su di una nave.
Nessuno mi guardava, nessuno mi diceva NAN. Questo significava una cosa: mentre ci avviavamo fra le calate tra casse, sacchi di caffè, enormi mucchi di carbone, cataste di tronchi enormi, se nessuno notava che ero un ragazzino significava che ero uno come loro: Ero un uomo. Ero grande.
<Vieni, siamo arrivati, è questa> mi disse. Erano le uniche parole che pronunciava da quando mezz’ora prima avevamo lasciata l’officina.
Salendo su per lo scalandrone mi disse:< Stanni attento a no scuggiâ, chi ghè tûttû untu> .
Infatti era una piccola petroliera con un odore terribile che prendeva alla gola e tubi di tutte le dimensioni che attraversanano la nave in tutte le direzioni costringendomi a guardare dove mettevo i piedi invece di curiosare come avrei voluto.
<Aspetime chi> mi disse infilandosi dentro una porticina di ferro.
Sentivo la nave tremare con un rumore sordo, continuo, monotono. I motori erano sempre accesi.
Mi guardavo attorno, curioso, orgoglio, meravigliato- Sono rimasto per un po’ a guardare le enormi gomene arrotolate con cura e immaginavo di arrivare io in porto a prua della Mia nave e lanciare la sagola a terra al marinaio che avrebbe ancorato la Mia nave alla bitta.
Non mi aveva detto cosa saremmo andati a fare sulla nave: ero convinto che avesse bisogno di riparazioni e che Lui e io l’avremmo riparata.
Non so quanto aspettai Pasquale ma ricordo che il tempo fu suffiente per osservare tutto. Tutto quello che si poteva vedere da dove mi aveva detto< aspetta qui>
Quando tornò aveva una scatola di legno lucido e scritte che parevano d’oro in mano:<E’ una bussola questa> mi disse, quella del Capitano. <Sei capace di portarla senza farla cadere?>
Ecco che in un attimo tutto il mio sogno è svanito: ero solo un ragazzino a cui si facevano raccomandazioni.
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Le palpebre stanche
coprono diafane ombre,
nel cavalcar pensieri non voluti
mi perdo nelle anse del buio.
Come vorrei abbandonare
sollecite immagini e risonanti realtà,
chiudere gli occhi e basta
sprofondar nel riposo,
oltre il ticchettio del cuore
che si fa megafono nei provati timpani.
Contar ore e ore,
minuti e minuti
e rimaner supino tra i lini
nell’attesa di un sospirato sonno.
autore:francomuzzioli
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