Suggerito da mary49 Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia, un piccolo paese di provincia, dove suo padre (Antonio Romagnoli), marchigiano d’origine, gestiva il buffet della stazione ferroviaria e qui trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza Come autodidatta vaga per tutti i campi della cultura, cercando di apprendere il maggior numero possibile di cose, di colmare i vuoti interiori, di allargare all’infinito l’orizzonte intellettuale.Si sente simile ad un gabbiano, sballottato da un luogo all’altro, preso nel vortice di un perpetuo volo e questa sensazione di eterna mobilità, questo continuo vagabondare è sentito profondamente dal poeta che non riesce a capire dove poter trovare pace in un mondo che non gli prospetta mai nulla di certo.Questo suo errabondare, senza meta e senza fine, a volte regala un senso di ebbrezza ma in fondo fa invidiare coloro che trovano, in un determinato luogo, la pace, la quiete. La vicenda delle stagioni, il fascino della bellezza adolescenziale sono innalzati a paradigmi del destino dell’uomo. Ecco allora delinearsi a chiare lettere il profilo di un uomo inquieto che in un perenne dialogo con la memoria acquista sempre più una dolente coscienza del vivere. Vincenzo Cardarelli realizza un esempio mirabile di prosa d’arte per il costante impegno stilistico mirante a mantenerle sempre su un tono di essenziale sobrietà; per certi toni nella rievocazione di memorie d’infanzia o di luoghi trasfigurati dalla memoria o resi suggestivi da dati culturali e letterari; e per ultimo il fascino del canto che spesso le anima. Quando Cardarelli scopre la sua vocazione letteraria, tutto il suo tempo e le sue preoccupazioni vengono assorbite dalle ricerche stilistiche e poetiche. Nasce il suo universo poetico costituito dalle sensazioni, dalle memorie, dai simboli, dalle evocazioni; le persone, i paesaggi, gli oggetti non hanno una vita propria ma esistono soltanto in virtù della forza evocatrice del linguaggio, dell’ordine e del movimento delle immagini e delle parole. Si muove tra la ricerca del massimo effetto, la proiezione della realtà in un mondo favoloso e la trasposizione simbolica. Cardarelli trova finalmente la sua esatta misura nelle prose di memoria e nelle elegie evocative. Negli ultimi anni inquieti della sua esistenza, densa di angoscia e di paura, il poeta si volge indietro a considerare la sua vita e la sua opera che si identificano con una Tarquinia da «favola» e non certo con quella vera. Questo scritto vuole essere solo una introduzione a Vincenzo Cardarelli.Al lettore più esigente per placare la sete consiglio di andare direttamente alla fonte e cioè di leggere l’opera del Cardarelli con un nuovo spirito di ricerca.
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Liguria
È la Liguria terra leggiadra.
Il sasso ardente, l’argilla pulita,
s’avvivano di pampini al sole.
È gigante l’ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s’alternano
per quelle fondi valli
che si celano al mare,
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell’arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate!
O aperti ai venti e all’onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.
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Alla morte
Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell’ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell’orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all’amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppe volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pure la memoria
di noi s’involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte, non mi ghermire,
ma da lontano annunciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.
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AMORE
Come chi gioia e angoscia provi insieme
gli occhi di lei così m’hanno lasciato.
Non so pensarci. Eppure mi ritorna
più e più insistente all’anima
quel suo fugace sguardo di commiato.
E un dolce tormento mi trattiene
dal prender sonno, ora ch’è notte e s’agita
nell’aria un che di nuovo.
Occhi di lei, vago tumulto. Amore,
pigro, incredulo amore, più per tedio
che per gioco intrapreso, ora ti sento
attaccato al mio cuore (debol ramo)
come frutto che geme.
Amore e primavera vanno insieme.
Quel fatale e prescritto momento
che ci diremo addio
è già in ogni distacco
del tuo volto dal mio.
Cosa lieve è il tuo corpo!
Basta che io l’abbandoni per sentirti
crudelmente lontana.
Il più corto saluto è fra noi due
un commiato finale.
Ogni giorno ti perdo e ti ritrovo
così, senza speranza.
Se tu sapessi com’è già remoto
il ricordo dei baci
che poco fa mi davi,
di quel caro abbandono,
di quel folle tuo amore ov’io non mordo
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Autunno
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
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Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
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Ritratto
Esiste una bocca scolpita,
un volto d’angiolo chiaro e ambiguo,
una opulenta creatura pallida
dai denti di perla,
dal passo spedito,
esiste il suo sorriso,
aereo, dubbio,lampante,
come un indicibile evento di luce.
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Amicizia
Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni
che, perduti nel tempo, c’incontrammo,
alla nostra incresciosa intimità.
Ci siamo sempre lasciati
senza salutarci,
con pentimenti e scuse da lontano.
Ci siam riaspettati al passo,
bestie caure,
cacciatori affinati,
a sostenere faticosamente
la nostra parte di estranei.
Ritrosie disperanti,
pause vertiginose e insormontabili,
dicevan, nelle nostre confidenze,
il contatto evitato e il vano incanto.
Qualcosa ci è sempre rimasto,
amaro vanto,
di non aver ceduto ai nostri abbandoni,
qualcosa ci è sempre mancato.
Da mary49
Contributo di
, 6 gennaio 2011 02:21.
Ottimo questo nuovo spazio per i grandi poeti. Oggi il Grande Cardarelli, italiano, nato nel 1887 ,ieri l’altrettanto Grande Tagore, indiano , nato nel 1941! Diversità di ambienti e di tempi, addirittura secoli, ma ci forniscono poesie splendide che ci permettono di confrontare stili e capacità.Mary 49, hai scelto molto bene.
Ottima scelta e belle le poesie, Mary.mi sono soffermata volentieri su…Liguria che è nelle mie corde.
Ritrovo i paesaggi aspri, i profumi e i colori che incantano.
Bellissima l’immagine delle chiese che spesso sono arroccate e si affacciano sul mare. Il poeta costruisce un parallelo con le navi in attesa di essere varate molto azzeccato: crea un clima di pacata attesa. Nell’insieme, la poesia coglie uno stato d’animo di languida malinconia serale nella quale il lettore facilmente si identifica emozionandosi.