Poesie di Eldy

FRAMMENTI….di Giulio Salvatori

 

Il mio paese, la mia gente, è abituata all’odore della
polvere del marmo. Le cave, hanno dato sempre il pane,
anche se con la crosta dura. Ma era pur sempre, l’unica
alternativa al mantenimento della famiglia e alla crescita
dei figli.
Quel pane che, mia madre raccontava, bisogna scavarlo anche sotto la neve. Ed io, ragazzino, non potevo certamente capire concetti così difficili. Voleva dire che, la neve, impediva l’escavazione del marmo dalla montagna. Il gelo, bloccava il filo elicoidale e, il pane, rimaneva sotto la neve.
Nelle case dei cavatori, non c’erano i pavimenti di marmo, troppo costosi e, si provvedeva con tavolati di castagno o mattonelle di graniglia. Eterne e sempre belle.
In casa mia, ci sono questi pavimenti che resistono alle tentazioni moderne di essere rimosse. Ma io, che per tanti anni ho fatto il marmista, so che basta una passata di cera o, una lucidata a piombo e diventano specchi. Non sanno che in ogni mattonella, sia pure di trenta centimetri per trenta, c’è una storia immensa che pochi sanno leggere. In questi giorni di carcerazione obbligatoria, ho provveduto a fare alcuni ritocchi laddove qualche “tarolo”  difettuccio, affiora.
Venivano fatte, e su richiesta le fanno ancora, con frammenti di marmo di vari colori, immersi nel cemento bianco o del colore che l’acquirente preferiva. Ma il procedimento è sempre il solito. Una forma della misura che si vuole e si procede fino alla seccagione. Poi, si passa alla levigatura e lucidatura.
Un occhio esperto e attento, rivede in quei pochi centimetri, parte delle cave di tutta Italia. Affiora lo statuario delle Apuane, il grigio perla delle cave a bassaquota, il verde fontèn della Valle d’Aosta, il rosso Verona, ilgiallo Siena, il nero del Belgio, rosa del Portogallo, ibianchi ordinari… e potrei continuare a lungo.
E in questi giorni dove si ha tempo di andare a ritroso, osservando queste pavimentazioni scorrono davanti ai i miei cocchi le fatiche di uomini di tutta Italia Lavoro duro era la cava e, spesso, le scaglie bianche si macchiavano di sangue. Mio padre era cavatore, io so queste cose. Quando la tuba suonava a lungo nei fianchi del monte, voleva dire di cessare il lavoro perché un compagno non c’era più.
Ma hanno lasciato un solco profondo, un libro aperto che io ho cercato di leggere per voi.
Giulio Salvatori

Contributo di francesca, 28 aprile 2020 14:19.

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