Poesie di Eldy

VORREI PIANGERE MA NON HO PIU’ LACRIME


E’ da mille anni
che ti aspetto.
tenero  amore
è per questo t’affido
l’anima mia
senza segreti.
Ho paura di perderti
ma saprò aspettarti
sognando la luce
dei tuoi occhi
che illumina il buio
percorso della vita.
Petalo di rosa,
non aver paura,
fuggi pure se vuoi,
saprò aspettarti
per mille anni ancora.

Autore:trastevere

Questa poesia è stata scritta da admin, il 9 giugno 2011 at 11:30, nella categoria: trastevere. Lascia un tuo commento qui



UNO SGUARDO AI GRANDI POETI

libro-sfogliato/////Visto l’interesse suscitato dalla nostra iniziativa di presentare “grandi poeti”, pensiamo di continuare questa carrellata, che può essere di stimolo o di ispirazione, per tutti coloro che scrivono, senza naturalmente sminuire gli Eldyani nel loro impegno e creatività.Proponiamo per coloro che hanno delle preferenze, dei bellissimi ricordi, degli interessi particolari verso la poesia e desiderano partecipare attivamente in “Eldy Poesia”, anche senza scrivere poesie personali, ci inviino alcuni versi dei loro poeti preferiti, accompagnati da una breve e personale presentazione, se vogliono, oppure ci segnalino un sito o un poeta di loro gradimento.Gli elaborati saranno inseriti seguendo l’ordine di arrivo e possono essere segnalati usando gli stessi canali adottati fino ad ora:
via e-mail: Domenico140755@hotmail.it – Paolacon46@libero.it o scrivendo qui nei commenti.

 

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TRILUSSA

TRILUSSA
Trilussa è il poeta romano Carlo Alberto Salustri che scelse questo pseudonimo anagrammando il suo cognome.
Nacque a Roma nel 1871 e la sua infanzia non fu molto fortunata tanto che visse un infanzia poverissima. Compì i suoi primi studi in modo molto irregolare e alla fine preferì darsi alla scrittura di poesio le in dialetto romanesco. I suoi primi versi di carattere molto provinciale e satirico attirarono l’attenzione di poeti abbastanza famosi, che gli permisero di pubblicare i suoi primi versi .Ben presto le sue poesie lo resero famoso ma durante la sua vita fu assillato da problemi economici ,per cui fu costretto a sbarcare il lunario solo con i proventi editoriali e le collaborazioni giornalistiche. Fu un affermato dicitore dei suoi versi e come lettore di poesie fece lunghe tournée sia in Italia che all’estero . Non fu un intellettuale, ma la fonte della sua ispirazione poetica furono le strade di Roma, anziché i libri
Intanto forte del successo ottenuto comincia a frequentare i salotti della gente bene come poeta-commentatore del fatto del giorno .Questa vita a lui non garbò molto per cui continuò a frequentare le sue amate osterie . Cominciò a scrivere facendo satira politica , ma i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni e basati sul rispetto reciproco .
Nel 1922 la Mondatori pubblicò tutte le sue raccolte e nel 1950 il Presidente della Repubblica Einaudi lo nomina Senatore a vita proprio 20 giorni prima della sua morte e Trilussa con molta ironia disse “Mi hanno nominato senatore a morte e alla sua governante disse “Siamo ricchi”anche se sapeva bene che quel titolo era solo una carica onorifica.
………………………
LA STRADA MIA
La strada è lunga, ma er deppiù1 l’ho fatto:
so dov’arrivo e nun me pijo pena.
Ciò er core in pace e l’anima serena
der savio che s’ammaschera da matto.
Se me frulla un pensiero che me scoccia
me fermo a beve e chiedo aiuto ar vino:
poi me la canto e seguito er cammino
cor destino in saccoccia.
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BONSENSO PRATICO
Quanno, de notte, sparsero la voce
che un Fantasma girava sur castello,
tutta la folla corse e, ner vedello,
cascò in ginocchio co’ le braccia in croce.
Ma un vecchio restò in piedi, e francamente
voleva dije che nun c’era gnente.
Poi ripensò: “Sarebbe una pazzia.
Io, senza dubbio, vede ch’è un lenzolo:
ma, più che di’ la verità da solo,
preferisco sbajamme in compagnia.
Dunque è un Fantasma, senza discussione”.
E pure lui se mise a pecorone.

La chiave di accesso e di lettura della satira di Trilussa si trova nelle favole,ognuna di esse ha una morale che non è mai stata generica ma legata,quasi in tempo reale a commenti dei fatti della vita di ogni giorno.

Trilussa è stato il 3° poeta dialettale romano ,egli ideò un linguaggio ancora più prossimo all’italiano nel tentativo di portare il vernacolo sempre più in alto.
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ER SOMARO E EL LEONE

Un Somaro diceva: – Anticamente,
quanno nun c’era la democrazzia,
la classe nostra nun valeva gnente.
Mi’ nonno, infatti, per avé raggione
se coprì co’ la pelle d’un Leone
e fu trattato rispettosamente.
– So’ cambiati li tempi, amico caro:
– fece el Leone – ormai la pelle mia
nun serve più nemmeno da riparo.
Oggi, purtroppo, ho perso l’infruenza,
e ogni tanto so’ io che pe’ prudenza
me copro co’ la pelle de somaro!
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L’ONESTA’ DE MI’ NONNA

Quanno che nonna mia pijò marito
nun fece mica come tante e tante
che doppo un po’ se troveno l’amante…
Lei, in cinquant’anni, nu’ l’ha mai tradito!
Dice che un giorno un vecchio impreciuttito
che je voleva fa’ lo spasimante
je disse: – V’arigalo ‘sto brillante
se venite a pijavvelo in un sito. –
Un’antra, ar posto suo, come succede,
j’avrebbe detto subbito: – So’ pronta.
Ma nonna, ch’era onesta, nun ciagnede;2
anzi je disse: – Stattene lontano… –
Tanto ch’adesso, quanno l’aricconta,
ancora ce se mozzica3 le mano!4
…………………………
IL TESTAMENTO DI UN ALBERO
Un albero di un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole, e poi
i semini a voi.
A voi poveri uccelli
perché mi cantavate la canzone
nella bella stagione.
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.
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« C’è un’ape che se posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa. »
Elaborazione di :Porzia.mi
 

 

 

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Vittorio Butera

  Vittorio BUTERA nacque a Conflenti il 23 Dicembre 1877 da Tommaso Butera e Maria Teresa de Carusi. Morta la madre a poca distanza dal parto fu allevato dalla nonna Peppina. Frequentò le scuole elementari a Conflenti, e il suo maestro elementare contribuì alla sua formazione negli anni della fanciullezza e dell’adolescenza. Dopo le scuole elementari,suo padre avrebbe voluto avviarlo all’amministrazione della proprietà,che era più che sufficiente a garantirgli una vita dignitosa,ma lo zio paterno,direttore dell’ospedale della Marina Militare di Portovenere (SP) lo portò con se per proseguire gli studi.  Nel 1905 conseguì a Napoli la laurea in Ingegneria.Nel 1909 vinse un concorso presso l’amministrazione provinciale di Catanzaro e nel 1911 si sposò con una donna bellissima. Nel 1949 smise di lavorare per raggiunti limiti d’età, e solo allora spinto dalle consistenti insistenze dei numerosi amici decise di pubblicare la prima raccolta di poesie “Prima cantu e doppu cuntu”. Tre sono le raccolte pubblicate, la prima nel 1949 “Prima cantu e doppu cuntu”, la seconda “Tuorno e ccantu, tuorno e ccuntu” nel 1960 ed infine la terza “Inedite” curata dal Centro di Cultura Popolare U.N.L.A. di Conflenti.Numerose le opere dedicate al poeta tra le più importanti ricordiamo “Canta Pueta” di Carlo Cimino e Vincenzo Villella, nel quale sono raccolte tutte le poesie .Butera morì nel 1955 a Catanzaro lasciando grande rimpianto in tutti quelli che lo avevano conosciuto e nei suoi estimatori che nel corso degli anni diventarono sempre di più.                                                                        ———————-
 La Mussarola

Ca ‘u’ mm’hai datu nullu abbisu? —
E ru cane spint‘Nu patrune sprigugnatu,
A ‘nnu cane spinturatu,
 Appricau ra mussarola,
 Mu le strunca ra parola.

L ‘àutra notte, ‘na fuìna,
Le scannàudi ‘na gallina.

-Cumu va — disse ru ‘mpisu  —
uratu:
Va cà tu m’ha’ ‘mmavagliatu! —
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‘A jumenta e ra pullitra

‘Na pullistrella ccu ‘nna stilla ‘mprunte
Arrija apprìessu appriessu a ‘nna jumenta.
Ha ru core de zuccaru, è ccuntenta
E llisciu e cchianu le pare ogne mmunte!

‘A mamma chi de ligna carricata
Assacca a ‘nna ‘nchjanata
Ed è ccussì ssudata
Chi guala guala fuma,
Cumu si mmuolicata
Fora a ‘una neglia ‘e scuma,
Fa ‘na capuzzijata
E re dice: te ‘nganni,
Povara pullitrella;
‘Sta vita chi te pare ttantu bbella
E’ cchjna de pirogati e dd’affanni!

Vulisse ppropiu Ddiu
Ppe mmu me spagliu iu!

     Ma tra ‘nu paru d’anni
Quannu ‘stu durzu ‘ncigna
A carrijare ligna
Cumu stu durzu miu, ,
Tannu mi nn‘addimanni!
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A scrufa e ru fumieri

‘Na scrufa, intra ‘na zimma , ammuzzillatu
 Tinìa zzertu fumieri.
E’ passata avantieri
‘Na guardia cumunale
E ‘nsubbitu l’ha ffattu ‘nu virbale.
‘A scrufa s’èdi misa a jjastimare:
– Vi’ cchi rrazza de ggente chi cc’è mmò!
Unu a ra zimma sua mancu pò ffare
 Chillu chi pesta vò! —
‘A stessa guardia, ppe ru stessu fattu,
 L ‘appriessu juornu ha ffattu
‘N’autra cuntramminzione
‘A ‘nna purcella senza ducazione.
‘A scrufa ha ddittu: — Mmenu male! Cc’èra
 Ppiriculu ‘e pigliare ‘nu culera!!!
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LUNATICI
‘Nu ciucciu ‘nnamuratu
Ragliàvadi a ra luna,
Ccu ttuttu quantu ‘u jatu,
D’amure ‘na canzuna.

Llà ssupra l’abbitanti
Chi, cumu musicanti,
Sunu tutti gnuranti,
‘Ncantaru ttutti quanti.

E ggridàru: — Cchi bbuce!
Cum ‘è ppastusa e dduce!
‘U ciucciu è ru migliore
Di tirrani tinure!
—Ah, quanta ggente ‘ncanta
Quannu ‘nu ciucciu canta
Trilussa fu il punto di riferimento di Butera anche se gli indicò solo la strada da percorrere per scrivere.
Butera prese molto sul serio la sua materia,difese i valori in cui credeva,valori di fedeltà,di disinteresse , senza fare politica perché in lui la politica si convertiva in morale. Vittorio Butera anche essendo vissuto in ambienti borghesi,conservò in tutta la sua ricchezza il suo dialetto di origine essenzialmente contadina. Egli come qualche altro autentico poeta dialettale di oggi , non attinge ad una lingua già formata, ma la crea lui . Il suo Trilussa aveva alle spalle Belli e Pascarella  ,mentre Butera crea lui la sua lingua prendendo spunto dal linguaggio di quei contadini  che colpiscono direttamente e sprecando poche parole
Elaborazione fatta da: Porzia.mi

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SALVATORE DI GIACOMO

SALVATORE DI GIACOMO

Una napoletana come me non poteva tralasciare di scrivere il profilo di un grandissimo poeta,drammaturgo italiano le cui poesie scritte in dialetto napoletano rappresentano una parte importante della stessa cultura:” Salvatore Di Giacomo.
Chiedo scusa a tutti se mi entusiasmo nella presentazione di questo grande poeta,ma mi tocca,in quanto la sua bravura,la musicalità della poesia che ha rappresentato insieme ai grandi E. Murolo L. Bovio ed E.A. Mario la voce poetica più intensa di Napoli e dell’Italia della fine dell’800

Salvatore Di Giacomo nacque a Napoli da un medico e da una musicista il 12 marzo 1860 . Da grande per volere dei genitori frequentò la facoltà di medicina ma l’orrore di aver assistito ad una scena di anatomia lo costrinse a lasciare la facoltà per diventare redattore del”Corriere del mattino”
Presto collaborò con riviste e giornali pubblicando alcune novelle e sonetti. Nel 1929 è nominato “Accademico d’Italia .Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao lo introdussero negli ambienti della vera Napoli e grazie a questo repertorio di fatti,di immagini,tratti da vicoli ,carceri,tribunali ,ospedali,Di Giacomo mise a nudo l’anima più profonda di una città che ben presto si identificò nella sua poesia: temi e valori in cui i lettori si potevano riconoscere.

PIANEFFORTE ‘E NOTTE
Nu pianefforte ‘e notte

Sona luntanamente
E ‘a musica se sente
Pe ll’aria suspirà.

E’ ll’una: dorme ‘o vico
Ncopp’a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.

Dio, quanta stelle cielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
Vurria sentì cantà!

Ma sulitario e lento
More ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo o vico
dint’a all’oscurità.

Ll’anema mia surtanto
rummane a sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà

MARZO

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.

N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.

Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.

LETTERA AMIROSA

Ve voglio fa’ na lettera a ll’ ingrese,
chiena ‘e tèrmene scìvete e cianciuse,
e ll’ aggia cumbinà tanto azzeccosa
ca s’ ha d’ azzeccà mmano pe nu mese.

Dinto ce voglio mettere tre ccose,
nu suspiro, na lacrema e na rosa,
e attuorno attuorno a ll’ ammillocca nchiusa
ce voglio da’ na sissantina ‘e vase.

Tanto c’ avita dì: “ Che bella cosa!
Stu nnammurato mio quanto è priciso!
” Mentr’ io mme firmo cu gnostia odirosa:
Il vosto schiavotiello: Antonio Riso

Con Salvatore Di Giacomo il dialetto napoletano raggiunge la sua più alta espressione con la pubblicazione delle prime poesie in dialetto “digiacomiano” definito un napoletano italianizzato. Egli seppe fondere nelle sue canzoni verità e fantasia,elementi tradizionali del canto e lo spirito del popolo del suo tempo,i suoi componimenti sono vivaci ,armonici,di alto contenuto,sono canzoni nobili che riflettono la sua sensibilità aristocratica e la sua cultura borghese. Le sue poesie e le sue canzoni trattano temi tradizionali della canzone napoletana :amori non corrisposti ,tradimenti,passioni,malinconie ,gioie ,sofferenze,disperazione,tutti sentimenti proiettati in una Napoli sempre molto vivace. Alcune poesie musicate da compositori dell’epoca,sono oggi capolavori indiscussi della canzone napoletana ,canzoni che continuano ad emozionare in tutto il mondo.

ERA DE MAGGIO

Era de maggio e te cadéano ‘nzino,                                                            ERA DE MAGGIO :Due giovani innamorati
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse…
Fresca era ll’aria…e tutto lu ciardino                                                          ricordano un giardino profumato di rose
addurava de rose a ciento passe…
Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce…
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce…
E diceva: “Core, core!
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll’ore…
chisà quanno turnarraje!”
Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose…
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá…
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá.”
E só’ turnato e mo, comm’a na vota,
cantammo ‘nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ‘ammore vero no, nun vota vico…
De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,
si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana:
Ll’acqua, llá dinto, nun se sécca maje,
e ferita d’ammore nun se sana…
Nun se sana: ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata,
a guardarte io nun starría !
E te dico: “Core, core!
core mio, turnato io só’…
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó’!
Torna maggio e torna ‘ammore:
fa’ de me chello che vuó’!”
MARECHIARE

“Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno a ll’ammore,
se revoteno ll’onne de lu mare,
pe la priezza cagneno culore,
quanno sponta la luna a Marechiare…
A Marechiare ce sta na fenesta,
la passione mia ce tuzzulea,
nu carofano addora ‘int’a na testa,
passa ll’acqua pe sotto e murmulea…
a Marechiare ce sta na fenesta…
Chi dice ca li stelle so’ lucente
nun sape st’uocchie ca tu tiene nfronte,
sti doie stelle li saccio io sulamente,
dint’ a lu core ne tengo li pponte,
chi dice ca li stelle so’ lucente….
Scétate Caruli’ ca ll’aria è doce,
quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?

Marechiare si rivelò una cartolina per questo villaggio tra le rocce di Posillipo,nel quale Di Giacomo immaginò una bella ragazza,Carolina,che si affaccia da una finestrella ricca di piante di garofano. Ancora oggi tante coppie di innamorati passeggiano davanti a quello specchio di mare e sotto quella finestrella dove dal 1885 ,da più di 100 anni qualcuno cura una pianta di garofani sempre in fiore ,e una bella lapide di marmo che si specchia in quel mare limpido,ricordando nei secoli che “ ‘a Marechiare ‘nce stà na fenesta…………

Elaborazione fatta da:PORZIA.mi

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