episodio 6
Rientro a casa,la tensione mi attanaglia,ho il cuore in gola.
Devo calmarmi,mi stringo le mani mi passo le dire fra i capelli,sospiro profondamente.
Fra poco arriva,quel pensiero mi fa gioire e nello stesso tempo tremare.
Forse una doccia calda mi calmerà.
L’acqua scorre tiepida ed io sotto la doccia penso a lui,penso se fosse qui con me ,l’acqua che scroscia,il bagno schiuma addosso,una schiuma morbida e profumata ci copre,le mie mani,le sue mani le nostre mani che ci accarezzano.
Un asciugamano per avvolgermi e poi ,e poi l’amore,l’amore ci fa ritrovare abbracciati l’un l’altro dimenticando tutto.
“No Manuela!” mi dico”No!!”
Queste fantasie non possono prendere il sopravvento,ho cose più importanti da decidere questa sera.
Devo decidere della mia vita.
Suonano le nove di sera, arriva,finalmente arriva.
Sono ancora in accappatoio,un accappatoio in spugna bianco sbottonato quanto basta per fare intravedere la coscia.
Non ho fatto in tempo a vestirmi,lo ricevo così.
Entra e come mi vede mi abbraccia,io cerco di rimanere fredda e staccata anche se la voglia di buttarmi fra le sua braccia mi pervade.
“Ciao Manuela amore mio,che c’è stasera?che succede?,perché quel viso teso e triste?”
“Niente Nicola,ti devo parlare,parlare veramente come non abbiamo mai parlato”.
Lui ,il mio lui si fa serio,sospetta qualcosa ,immagina cosa gli voglio dire,ma ,con il suo sorriso e i suoi occhi dallo sguardo profondo cerca di sdrammatizzare,di tranquillizzarmi.
Ci sediamo sul divanetto rosso,una bottiglia di vino in frigo,due calici e verso da bere.
Lui mi porge il calice per il nostro abituale cin cin ,ma questa volta è un brindisi un po’ amaro il nostro,un brindisi che mi cambia la vita.
(Continua….)
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Due giacche buttate a terra a quattro passi di distanza l’una dall’altra.
I passi il più lunghi possibile di modo che la porta dell’avversario fosse più larga. Le cartelle tutte assieme ammucchiate sul marciapiedi.
Cinque contro cinque. Quattro contro quattro. Se mancava un portiere si giocava a una porta sola : all'”americana”.
Gambe violacee per il freddo coi calzoni rigorosamente corti: quelli lunghi solo ad una certa età.
Non c’era la televisione allora che condizionava i ragazzi e il calcio era seguito alla radio prima e col transistor dopo ma, principarlmente, lo si poteva giocare in qualsiasi momento, luogo, condizione,anche con la cartella dell’amico antipatico: non servivano scarpette coi tacchetti, magliette sposorizzate, palloni firmati, iscrizioni a società, prenotare campetti. Era sufficiente essere in strada in quel momento ed avere un pallone. Se la larghezza della strada lo permetteva, la serranda del salumierie era ottima come porta, per la felicità degli abitanti dei piani superiori.
Tu no, sei troppo piccolo, potresti farti male , vedi? Sono tutti più grandi di te . Un viso imbronciato abbassato col mento a toccare il grembule nero. una lacrimuccia. Va bene dai …….. tu fai il raccattapalle.
Felice di avere il pallone di cuoio in mano correva avanti e indietro ad ogni gol, ad ogni fuori. Il prossimo anno sarebbe toccato anche a lui di giocare con i “grandi”.
Fermaaaaaaa, Fermaaaaaaaaaaaa c’è la macchina!!!!!!
Accidenti , è la terza gia che passa oggi!!!! Passata la macchina si riprende il gioco: fai fare i due salti…..
Come faranno a dare quelle testate a quel pallone cosi duro? Aveva le stringhe come le scarpe: con la differenza che quelle erano di cuoio e quando ti picchiava in fronte lasciava il segno. Dovevi slacciare le stringhe per gonfiare la camera d’aria che era al suo interno e serviva allo scppo una pompetta , pompetta che solo il figlio del geometra aveva perchè era l’unico ad avere una bicicletta e non giocava lui al pallone , la sua mamma non voleva che sudasse e si sporcasse ed allora, passava da li in bici e si fermva a guardare e a farsi ammirare.
Si è giocato ancora qualche anno in strada, poi le auto si sono rubate tutti i “campetti”, costringendo i ragazzi a spostarsi su campetti improvvisati fuori del paese, nel campetto del prete all’oratorio, in qualche piazza, finche il viglie non ha incominciato a multare .
Poi la televisione ha portato il pallone in tutte le case con i suoi sponsor, i suoi giri di soldi, i suoi miraggi, i suoi giocatori nababbi che diventavano modelli di vita. E dietro loro le veline .
Ora il calcio è arrivato in Africa : porterà miliardi e miliardi e mliardi . A chi?
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Regalami una rosa
ma non portarmi una rosa finta
non andare dal fioraio
voglio una rosa
rubata ai cancelli di un giardino
che racchiuda ancora
le gocce di rugiada del mattino
che abbia il profumo intenso della vita
una rosa che abbia incontrato la pioggia
la carezza del vento, l’abbraccio del sole, l’incanto della luna
Non importa che sia perfetta
riuscirà ad emozionarmi
anche se qualche petalo è sciupato
la bellezza non è asettica
le imperfezioni la rendono
autentica …vera …viva
Regalami un’emozione
come un violinista creami un’emozione
falla partire dalla tua anima e
fa sì che accarezzi e faccia vibrare
le corde della mia anima.
La lacrima che farà brillare i miei occhi e
che scivolerà sulla mia guancia
ti dirà che hai creato una nota palpitante
Regalami un amore
un amore mai stanco
un amore mai annoiato
un amore mai scontato
un amore che non conosce l’abitudine
Regalami la tua scelta e la tua conferma ogni giorno
Regalami l’illusione di sentirmi unica, speciale, insostituibile
Regalami fasci di sorrisi e carezze
Regalami battiti …respiri …pensieri
Regalami anche la sofferenza …il dubbio …la paura..
capirò che è amore anche questo
Come diamanti incastonerò tutte le cose che mi regalerai e
ne farò un diadema che mi farà regina e mi darà vita.
autore.semplice
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Il mio motore rimasto
Senza Elica,
da tempo gira su se stesso.
Ne ho cercate di altre , ma
Il mio motore aspetta
quell’Elica d’argento
che mi fa sospirar
d’un desiderio folle.
Ed ecco che una sera
mi apparve dicendomi !
t’amo ma ho problemi,
cambierò nome , ma sarò
sempre la tua Elica .
queste sue parole
inaspettate
mi colsero di sorpresa .
Avevo ritrovato la mia
Elica .
Ricordai delle dolcissime note
trasportate nel mio cuore
dal suo pianoforte,
un sussurro melodioso.
Ti aspetterò
Elica .
autore:miky
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“Dai! alzati dormiglione e non ti presentare a tavola se non prima ti sarai lavato!”
Come un ritornello queste parole, puntuali, tutte le mattine riecheggiavano nella mente. Era mia madre che, dopo aver preparato il latte, veniva a svegliarmi. A quell’età era un gran tormento doversi alzare. Avevo sempre sonno, non ero mai sazio, mi alzavo assonnacchiato e quasi sempre stanco. Il continuo e frenetico giocherellare durante quegli interminabili pomeriggi che, spesso e volentieri, si prolungavano fino a tarda sera, lasciavano il segno, in noi ragazzi. Ricordo infatti, che ero perennemente in ritardo la mattina e i miei amici, non perdevano occasione di chiamarmi gridando, a gran voce dal cortile, Tante volte li avevo pregati di non farlo perché, oltre ad essere poco riguardoso verso i vicini, sarebbe stato un motivo in più per mia madre per ricominciare con i soliti rimproveri. E sinceramente, la cosa non era per niente piacevole. La scuola, per giunta, non era distante, non ci sarebbe voluto molto ad arrivare. Nel tentativo di recuperare qualche secondo prezioso, tantissime volte abbiamo improvvisato la classica sfida a chi arrivasse per primo davanti al portone della scuola. Ogni scusa era buona, ogni occasione si prestava a creare motivo d’interesse e di divertimento. Marco, era quello che arrivava puntualmente per ultimo, una mattina più incavolato del solito, rivolgendosi verso di noi, in particolar modo verso me, con quella voce rauca che venire fuori a stenti per l’ affanno: “Ho l’impressione che lo fate apposta ad essere sempre in ritardo, specialmente tu Mimmo, ci tenete a dimostrare quanto siete bravi e veloci, ma da domani io me ne vado da solo, così finisce questa ridicola corsa di tutte le mattine”
In quel momento pensai che effettivamente aveva ragione, sapevamo quanto era lento nella corsa, in più, sua madre pretendeva che portasse nella cartella tutti i libri di testo, e poveretto faceva fatica a correre. Quelle parole mi entrarono in testa martellandomi la mente. Capì, effettivamente, quanto ancora fossimo ragazzini e quante cose facevamo, seppure ingenuamente, non rendendoci conto che potessero far del male, come quella di deriderlo tutte le mattine. Avevo circa 14 anni e frequentavo la terza media. Crescevo bene, in salute e senza grilli per la testa. Non ero tanto alto, ma già da allora possedevo un fisico atletico. Occhi verdi, vispi e espressivi che si muovevano freneticamente, attenti a tutto ciò che girava intorno a me. Quell’anno è stato contraddistinto da episodi che hanno dato una svolta alla mia vita. Stavo crescendo e non mi rendevo conto, stavo attraversando quel periodo della fanciullezza senza accorgermi. Stavo diventato un ragazzo interessante e, se non fosse stato per quella compagna di scuola, non me ne sarei reso conto così presto, forse, sarei rimasto, chissà per quanto ancora, in quella fascia di fanciullezza spensierata .”Ciao Mimmo!! -il mio vero nome è Domenico, ma mi hanno sempre chiamato Mimmo- Posso parlarti?“ Cosa poteva volere questa ragazza da me, la mia mente non riusciva a collocarla in qualche circostanza, in qualche interesse comune, cercai di ricordare, ma niente, non veniva proprio niente alla mente che potesse darmi qualche indicazione. Era una compagna di scuola, una delle più belle dell’istituto, forse una delle più interessanti. Sembrava più grande dell’età che aveva, ma con quel suo modo di fare da vera snob, non aveva attirato grande interesse da parte nostra, pur riconoscendo che, in effetti, era già una bella donna. ”Si, dimmi Antonella, che è successo? Hai bisogno di qualcosa? Forse qualcuno ti ha disturbato?” In quel momento mi caricai di tanto orgoglio, come se aspettavo, da un momento all’altro, che mi dicesse di sì, e di voler essere difesa da me, mi senti grande, un ometto di rispetto, pronto ad intervenire in qualche questione come un uomo d’onore.
“È vero che vuoi mia sorella per fidanzata?” Quelle parole buttati li, così a bruciapelo, mi hanno reso interdetto per brevi attimi, non seppi cosa dire, rimasi pietrificato, come un bambino che aprendo gli occhi rimane esterrefatto da una strabiliante visione e, nello stesso tempo, aggredito da un senso di paura per qualcosa a lui, sconosciuta . ”Che va dicendo questa, io, a sua sorella, ma se la conosco appena, forse questa mattina si sarà svegliata con un diavolo per capello, oppure ha intenzione di prendermi in giro“. Questi pensieri invadevano la mia mente, quando, incalza nuovamente: “Allora, aspetto una risposta, ti vuoi decidere, per favore? Non far finta di niente, come se cadessi dalle nuvole!” Esclamò a gran voce. Passati quei primi minuti di smarrimento, mi sono ripreso ricordando dell’offerta d’aiuto fatta precedentemente e, sulle ali di quel contegno da uomo di rispetto, gli risposi con tono: “Ebbene sì! Sì, tua sorella mi è simpatica, è pure bellina e non trovo nulla di male a provare un interesse verso di lei! Ci sarebbe qualche problema?” Ad essere sinceri, non era vero niente, mi sentivo ancora un ragazzino intento a giocherellare con gli amici, non avevo mai pensato a niente del genere. Addirittura, non sapevo neanche da che parte iniziare. In tutta onestà, avevo pure un po’ di tremore alle gambe. Sapevo d’averla fatta grossa ma, a quel punto, non potevo più tornare indietro. Oramai ero costretto ad andare fino in fondo. In quel momento squillò la campanella. “Dio ti benedica! non poteva squillare in un momento migliore” -pensai nella mia mente. Fu provvidenziale, mi ha salvato da quel confronto e, adottando un’aria di sicurezza e di spavalderia esclamai: ”Scusami, questo è un discorso che sarà portato a termine dopo, all’uscita dalla scuola, adesso, per favore, andiamo, entriamo in classe, io non ci tengo ad essere rimproverato”. Se a mia madre fosse arrivato alle orecchie qualcosa del genere,chi l’avrebbe più fermata. Sicuramente mi avrebbe fatto alzare dal letto, almeno una mezzora prima. “La piantai li, su due piedi e mi precipitai dentro. Il cervello si mise a frullare, non sapevo cosa fare, a chi chiedere conforto, oppure qualche consiglio, la vergogna di apparire ridicolo mi bloccava, non volevo farmi conoscere come un ragazzino. Non riuscivo ancora ad accettare che ero cresciuto, che mi stavo facendo un bel giovanotto, tanto da suscitare l’interesse dell’altro sesso. Infatti, credo che tutto fosse partito dai quei discorsi che le ragazze, di solito, si fanno tra loro, quella specie di statistiche a chi era il più bello, il più interessante tra i compagni di scuola e, verso chi dovevano, poi, essere rivolti i loro interessi .Un po’, gli stessi discorsi che ci facevamo noi maschi all’insegna delle donne. All’uscita, ancora un po’ timoroso, mi sono avvicinato al loro gruppo. Insieme a loro due c’era una compagna di classe, la quale, oltre ad essere brutta, era una maledetta invidiosa, non godeva della simpatia né mia né dei miei amici. Per questo suo modo antipatico di proporsi, tantissime volte l’avevamo beccata e tra noi non era mai corso buon sangue. Fortunatamente capì subito l’antifona, oppure era stata preventivamente informata, e tagliò subito la corda con un plateale saluto: “Ciao Antonella, ciao Katia , ci vediamo domani, telefonami! mi raccomando?” .”Finalmente”! esclamai nella mia mente. Ciao Katia, hai parlato con tua sorella? “Si! mi ha detto tutto e tu, che dici?” “Io, dico di si, è tutto vero, mi vuoi per fidanzato?” La bruciai sul tempo, non gli detti neanche il tempo di riflettere, subito gli sparai ciò che mi ero ripetuto continuamente in classe. Era veramente una bella ragazza, più la guardavo più mi rendevo conto che, effettivamente, era molto bella. Un po’ formosa rispetto alla sorella, anche un po’ più bassa, ma dai lineamenti da gran bambolona. Poi, quell’aria di snob che ,innocentemente, si dava, accresceva un interesse ancora maggiore. Si, era bella, poi, con quei capelli lisci di un castano chiaro che le scendevano lungo la schiena, e quegli occhi da piccola ingenua gli davano un espressione così dolce, così pura che era ,veramente, impossibile non essere affascinati. Senza rendermi conto incomincia a vederla con occhi diversi, come se la stessi vedendo per la prima volta. Tutto in una volta mi sentì felice, nel frattempo ero tornato in possesso della mia sicurezza, malgrado ciò, non riuscivo a saper spiegare cosa, in quel momento, mi stesse succedendo, non stavo più nella pelle, come per incanto tutto scomparve dalla mia mente: gli amici, Marco con le sue lamentele, le cavolate che combinavamo, il gioco nel cortile fino a tarda ora, la scuola con tutti i suoi insegnanti. L’unico pensiero era rivolto a quel benedetto momento in cui dissi quella bugia a sua sorella (la quale, nel frattempo, era andata leggermente avanti lasciandoci da soli). Non mi parve vero, tutto appariva come un sogno, un bellissimo sogno dal quale avevo paura di svegliarmi troppo presto. Quello, invece, fu l’inizio di una bellissima storia d’amore, forse la più bella in assoluto. Essa ha aperto le porte di una meravigliosa dimensione, mai conosciuta fino ad allora. Fu vissuta intensamente, contornata da spontaneità e purezza da due persone di 14 anni che non avrebbero potuto viverla diversamente in un contesto dove i grandi valori, i sani principi erano fortemente sentiti e vivi. Ancora oggi mi ritorna in mente, riportandomi indietro nel tempo. Una grande storia, forse, il vero “Amore” indimenticabile. Anche se è durata il tempo di un anno scolastico, ma nel mio cuore non è mai scomparsa. Il suo ricordo, il suo dolce viso è sempre nei miei pensieri, esso mi tiene compagnia durante le mie giornate. Il destino, pur se abbiamo intrapreso cammini diverse in tutti questi anni, si è preso gioco di noi, facendo incrociare, spesso e volentieri, le nostre strade, permettendoci così, di mantenere nel tempo, quantomeno, quella grandissima amicizia.
autore :domè
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