Il freddo, il buio di quel vicolo dove mi nascondevo come un animale braccato, è ancora vivo nei miei ricordi.
Ero di copertura ai miei compagni che si erano spinti in avanti, scomparendo in un nido di vicoli e viuzze, avevo posizionato il tubo dei fumogeni, ed ero teso come una corda di violino, il mitra colpo in canna mi tremava fra le mani, la pioggia che cadeva insistente si mischiava col sudore della paura , ero attento ad ogni piccolo rumore, ma non sentii, all’improvviso dal buio la faccia di quel ragazzo, la divisa diversa dalla mia, mi sbuco davanti, il mitra gli tremava nelle mani. Dio aveva più paura di me, una raffica spezzò il rumore della pioggia proprio quando lo buttai a terra disarmandolo, sembrava che pesasse mezzo chilo, ricordo che dal terrore non riuscivo a respirare, mentre lui disteso a terra parlava in un’altra lingua, ma capii che mi stava supplicando, mi pregava di non fargli del male, altre raffiche si sentirono alla mia sinistra ad ore nove, risposi al fuoco ingaggiando la battaglia, il ragazzo a terra a qualche metro da me, incominciò ad urlare si dimenava rotolandosi tenendosi con le mani una coscia, lo guardai con terrore e rabbia, avrei voluto fermare il tempo ritornare bambino, ma non potevo, ho sentito la vita colare giù dai miei occhi, colava la rabbia, colava il rancore, colava l’amore che non ho saputo mai dare, continuai a sparare, poi silenzio, la pioggia riprese a battere, strisciai verso il ragazzo che non si muoveva più, era svenuto, diedi una rapida occhiata alla ferita, era seria il sangue veniva fuori a fiotti, un proiettile forse di rimbalzo, gli aveva reciso un’arteria, mi tolsi la sciarpa dalla gola e la legai stretta a monte della ferita, intanto il rumore infernale degli elicotteri che si avvicinavano mi spaccava le orecchie,entrava nel cervello sbattendo fra le pareti della mente, vidi la mia squadra rientrare di corsa scortando dei civili donne e bambini, li lasciai sfilare verso gli elicotteri e accesi i fumogeni, il mio sguardo si incrocio per un attimo con quello del ragazzo che, intanto, aveva ripreso i sensi e si lamentava. Arriveranno i tuoi a prenderti! te la caverai! gli dissi, forse mi capi, mi tese la mano, la strinsi forte e scappai via.
Il sole era pallido malato in quel nuovo giorno che stava nascendo, un filo di vento mi accarezzava il viso e i capelli sotto l’elmetto mentre le pale dell’elicottero giravano vorticosamente verso casa. Stavo male dentro, pensavo a quel soldato, come sarebbe andata se avesse avuto il tempo di reagire, mi avrebbe ucciso o io lo avrei ucciso.
Dio cos’ero diventato, eravamo addestrati a tutto ma non ci avevano insegnato a combattere quello che poi si prova dentro.
Autore:francesco7.pv
Contributo di
, 3 dicembre 2009 11:39.
francesco, un altro ottimo diario di guerra. Scritto in modo particolare: il lungo “periodo” , senza punti, ma inframezzato solo da virgole, dà al lettore la sensazione di udire i colpi di mitraglia che contornano il racconto.Questo per quanto concerne la forma linguistica.Ma cosa si può dire dell’umanità che traspare in ogni attimo e da ogni circostanza? Speriamo che fatti simili si ripetano spesso e che da ogni guerra si possa anche salvare qualcosa!