Gabriele D’Annunzio
Nacque a Pescara il 12 marzo del 1863. Muore il 1 marzo 1938 a Gardone Riviera,
D’Annunzio è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra.
Nella sua poesia egli affronta una enorme quantità di tematiche: la malinconia distaccata, il desiderio di purificazione,
i destini della nazione, la celebrazione dell’avventura, la sensualità. Tutto questo con tenace ricerca per
le forme della parola, raffinate e insolite.
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« Rimani!
Riposati accanto a me. Non te n’ andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuta a me,
liberamente, fieramente. Ti amo.
Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo nella mia vita altra compagna,
non vedo altra gioia… Rimani. Riposati.
Non temere di nulla. Dormi stanotte sul mio cuore… »
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Implorazione
Estate, Estate mia, non declinare!
Fa che prima nel petto il cor mi scoppi
come pomo granato a troppo ardore.
Estate, Estate, indugia a maturare
i grappoli dei tralci su per gli oppi.
Fa che il colchico dia più tardo il fiore
Forte comprimi sul tuo sen rubesto
il fin Settembre, che non sia sì lesto.
Sòffoca, Estate, fra le tue mammelle
il fabro di canestre e di tinelle.
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La Sabbia del Tempo
Come scorrea la calda sabbia lieve
per entro il cavo della mano in ozio
il cor sentì che il giorno era più breve.
E un’ansia repentina il cor m’assale
per l’appressar dell’umido equinozio
che offusca l’oro delle piagge salse.
Alla sabbia del Tempo urna la mano
era, clessidra il cor mio palpitante,
l’ombra crescente di ogni stelo vano
quasi ombra d’ago in tacito quadrante.
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L’Orma
Sol calando, lungh’essa la marina
giunsi alla pigra foce del Motrone
e mi scalzai per trapassare a guado.
Da stuol migrante un suono di chiarina
venía per l’aria, e il mar tenea bordone.
Nitrí di fra lo sparto un caval brado.
Ristetti. Strana era nel limo un’orma.
Però dall’alpe già scendeva l’ombra.
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All’Alba
All’alba ritrovai l’orma sul posto,
selvatica qual pesta di cerbiatto;
ma v’era il segno delle cinque dita.
Era il pollice alquanto più discosto
dall’altre dita e il mignolo ritratto
come ugnello di gazzera marina.
La foce ingombra di tritume negro
odorava di sale e di ginepro.
Seguitai l’orma esigua, come bracco
che tracci e fiuti il baio capriuolo.
Giunsi al canneto e mi scontrai col riccio.
Livido si fuggì per folto il biacco.
Si levarono due tre quattro a volo
migliarini già tinti di gialliccio.
Vidi un che bianco; e un velo era dell’alba.
Per guatar l’alba disamarri la traccia.
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A Mezzodì
A mezzodì scopersi tra le canne
del Motrone argiglioso l’aspra ninfa
nericiglia, sorella di Siringa.
L’ebbi sù miei ginocchi di silvano;
e nella sua saliva amarulenta
assaporai l’origano e la menta.
Per entro al rombo della nostra ardenza
udimmo crepitar sopra le canne
pioggia d’agosto calda come sangue.
Fremere udimmo nelle arsicce crete
le mille bocche della nostra sete.
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In Sul Vespero
In sul vespero, scendo alla radura.
Prendo col laccio la puledra brada
che ancor tra i denti ha schiuma di pastura.
Tanaglio il dorso nudo, alle difese;
e per le ascelle afferro la naiada,
la sollevo, la pianto sul garrese.
Schizzan di sotto all’ugne nel galoppo
gli aghi i rami le pigne le cortecce.
Di là dai fossi, ecco il triforme groppo
su per le vampe delle fulve secche!
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L’Incanto Circeo
Tra i due porti, tra l’uno e l’altro faro,
bonaccia senza vele e senza nubi
dolce venata come le tue tempie.
Assai lungi, di là dall’Argentaro,
assai lungi le rupi e le paludi
di Circe, dell’iddía dalle molterbe.
E c’incantò con una stilla d’erbe
tutto il Tirreno, come un suo lebete!
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Il Vento Scrive
Su la docile sabbia il vento scrive
con le penne dell’ala; e in sua favella
parlano i segni per le bianche rive.
Ma, quando il sol declina, d’ogni nota
ombra lene si crea, d’ogni ondicella,
quasi di ciglia su soave gota.
E par che nell’immenso arido viso
della pioggia s’immilli il tuo sorriso.
Richiesta da : mary.49
Contributo di
, 10 marzo 2011 01:06.