Poesie di Eldy

EUGENIO MONTALE

Ecco ancora un elaborato inviatoci da Silvana1.ge  :    EUGENIO  MONTALE  (1896  –  1981)
                                       Premio Nobel per la letteratura  1975
montale

La poesia di Montale , essenziale, concentrata, usa un linguaggio nuovo: si avvale di continue
analogie, predilige parole inconsuete per esprimere una concezione della vita aspra, che riflette
pienamente la crisi esistenziale dell’uomo moderno, la sua angoscia senza speranza.
I caratteri fondamentali del suo linguaggio sono i simboli. Oggetti quali ad esempio il muro, che
rappresenta chiusura, oppressione; ma anche simboli positivi che alludono alla possibilità di
un’evasione,  di libertà: il varco, la maglia rotta nella rete.
La realtà secondo il poeta è  intrisa di sofferenza . Egli racconta la negazione, l’assenza,
un mondo privo di significato, condensato in paesaggi liguri riarsi, aridi, che rappresentano lo sfacelo rivelato dalla stessa natura . Descrive oggetti nei quali la vita sembra sospesa, metafore del vuoto interiore percepito come disperata pena esistenziale.
Il pessimismo di Montale è radicale. Vivere è come perdersi in una trama di gesti inutili, dietro i
quali vi è il nulla.
L’uomo del Novecento ha un destino di delusione e di incomunicabilità assoluta.
Non vi è alcuna fede politica o religiosa che possa liberare l’essere umano dal “male di vivere”, al quale viene  contrapposto il concetto di “divina indifferenza”, ossia un dignitoso distacco dalla realtà. Tuttavia, se non è possibile trovare una risposta all’inutilità della vita, è, secondo il poeta, necessario conservare almeno la speranza di un miracolo, che riscatti tale condizione, rivelando il senso della vita.  Questa apertura è evidente nei suoi versi dedicati al mare,visto come elemento positivo, autentica lezione di vita.
Anche il ricordo,  che è il tentativo di individuare una continuità tra passato e presente, per dare un
significato profondo all’esistenza, appare sommerso dal tempo che passa, non più un’esperienza
individuale, intima.
La felicità, per Montale, è sempre al di là di un muro invalicabile, o sul punto di sfuggire a chi cerchi di afferrarla.
La poesia di Montale è poetica dell’inquietudine. Esprime la necessità da parte dell’individuo, di
riconoscere con dignità la propria fragilità ed incompiutezza.
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Non chiederci parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
………………………….

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, fruscii di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra i frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci di bottiglia.
……………………………………………..

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato di salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

……………………………….

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le rischiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

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­Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tutt’ora, né più occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché  con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Questa poesia è un atto d’amore nei confronti della moglie non più al suo fianco. Traspare il senso dello sgomento di fronte al percorso terreno che deve ora affrontare da solo.
Essa è un muto dialogo, sommesso e pacato  con cui Montale cerca di colmare il vuoto affettivo.
Si avvale di un linguaggio usuale, quotidiano che dà il senso dell’intimità domestica.
La scala è metafora di un suo avvicinarsi alla vecchiaia e alla morte ed accentua il senso di solitudine lasciatogli perdita  della sua compagna di vita.
Elaborazione di Silvana1.ge

Contributo di admin, 14 gennaio 2011 04:07.

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