L’avevo sentito alla radio una sera mentre ero intentento alla chat.
L’inizio lo avevo perso, non ricordo se per distrazione o perchè
la trasmissione era già iniziata.
Stavano parlando della Sardegna.
Conosco poco l’isola, ci sono stato una sola volta e sinceramente
ho avuto una non bella esperienza.
Forse per questo motivo la mia attenzione è stata colpita dai discorsi
che in quel momento sentivo.
Stavano presentando un libro che usciva in libreria in quei giorni.
FEMINA AGABBADORA.
Nome strano che ha colpito la mia fantasia.
Ho prestato attenzione a quello che dicevano i due conduttori in quel momento:
……..munita di una specie di martello di legno, si recava nell’abitazione del malato su
richiesta dei parenti e dopo aver chiesto di rimanere sola recitava alcune preghiere
e formule magiche.
Terminato questo rito assestava un solo colpo alla testa del malato terminale
col quale poneva fine alle sofferenze del poveretto.
Ero pressocchè sconvolto: alla mia età non avevo mai sentito una cosa simile,
la ritenevo impossibile.
La mattina seguente sono andato subito in libreria per acquistare il libro:
non lo avevano ancora. Lo avrebbero ordinato.
Grazie ho detto, lo cercherò in centro.
Tornato a casa accendo subito il computer, mi collego ad internet e digito:
FEMINA AGABBADORA.
Trovo immediatamente quello che speravo di non trovare,
una marea di siti che trattano l’argomento.
Apro il primo:
Deu ci sia”, era la formula pronunciata dalla agabbadora, quando si accingeva
a compiere il suo mandato presso la famiglia del moribondo, dove giungeva
preferibilmente a tarda sera, avvolta di nero.
Lasciata sola al capezzale dell’agonizzante, dopo essersi fatta il segno della croce….
Ho letto tutto di un fiato. Non mi sembrava ancora vero.
Il macabro rituale è stato in uso ufficialmente fino agli anni 50 del 1900 e
pur non essendo lecito pare fosse tollerato dalle autorità.
In chat ci sono molti Sardi e molte persone conoscitrici delle usanze sarde:
sarebbe bello saperne di più.
alfred
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E una donna che reggeva un bambino al seno disse:
Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sè stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani,
Che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro,
Ma non farvi simili a voi:
La vita procede e non s’attarda sul passato.
Voi site gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
E vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere;
Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.
Di Kahlil Gibran:
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Quando il pensiero si ferma per seguire una immagine nitida come una fotografia ,dolce e patetica, come quelle vecchie cartoline del passato, tutte oleografia , coi colori dati a mano, troppo forti per essere reali, il ricordo ti prende la mano. Eppure è in quelle luci fisse della memoria ,che nascono le sensazioni più dolci della mia giovinezza. Una di queste è la piazza della stazione centrale di Milano,con lo svettante grattacielo Pirelliano, appena costruito, lustro come lo stemma di una Lancia. Uscivo da quel grande scatolone di marmo e cemento mal riposti ,che è la stazione e mi trovavo nei giardinetti ,tra lo sferragliare dei tram , attendevo con pazienza quello che mi portava all’Hotel Roxi . Allora, circa quarantacinque anni fa , erano i miei primi approcci con Milano, città tentacolare, città da mal di stomaco ,città proibita per chi veniva dalla provincia. Erano soprattutto le sere tutte luci e vetrine ,perché a Milano le sere sono anche luci e vetrine , non c’è sempre la nebbia, anche se sporchi il fazzoletto di nero tutte le volte che ti soffi il naso. Andavo, mi ricordo, al teatrino “alle Maschere”,zona Brera, cinquanta posti più la balconata ed io ero proprio in quella padella di cemento con seggiolini scomodi e col balaustro tondo e lisciato da mani umide e calde. Il sipario si apriva d’incanto illuminato da un riflettore azzurrino , si sentivano sussulti e colpi di tosse e poi come in una visione entrava lei , Marusca , Valeria , Lucy , chissà quante altre , ma sembrava sempre la stessa, con quei movimenti da puttanella da pochi soldi , ma con culetti da cardiopalmo e via che cadevano veli e battevano mani e si fischiava e si vociava, altro che luci rosse d’adesso, quelle erano esperienze. Lei si agitava sulla sedia e bastava una bottiglia, fallico messaggio, per fare andare tutti su di giri , se già non lo eravamo abbastanza . Si usciva contenti ,come scolaretti dopo aver marinata la scuola . Io tornavo all’Hotel Roxi ,piano piano, lungo le strade tranquille di una Milano da cartolina , qualche battona , un paio di ubriachi e tante stelle in cielo, ma tante. Contavo i ciottoli puliti e umidi e ogni tanto incontravo un “trani” che fumava come una vaporiera o un ristorante ,con tanta roba esposta che sembrava un negozio di frutta e verdura. E gli alberi alti e forti come grandi gazebo, illuminati da sotto da lampioni irreali, poi arrivava il tram , tutta ferraglia che mi portava a dormire. Ora ,quando so che devo andare a Milano ,sto male una settimana prima, danno la colpa ai troppi marocchini di tutte le nazionalità, per me sono passati quarantacinque anni e la mia Milano da cartolina non può proprio più ritornare.
autore:francomuzzioli:
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Quanto e difficile far passare i dolori provocati
dall’amore, uno quando sente questa parola,
pensa che sia cosa dolce (amore), infatti lo è, ma può anche fare
molto male, un male che e difficile cancellare,
anche solo dimenticare, basta vedere qualcuno
che si bacia per capire quanto si è perso, quanto male,
quel dolore cosi sordo, che a volte non lo sentiamo
neanche noi che lo abbiamo vissuto, sentito sulla nostra pelle,
queste cose mi escono raramente. Se ci penso lo scuso sempre
penso io ho sbagliato, che qualcosa ho fatto.
Altre volte penso ma le altre cosa hanno fatto più di me,
per avere più di me, un’altra voce mi dice smettila,
vivi quel po di vita che ti resta. Chi ne ha il coraggio,
chi vuole provare ancora, mettersi alla prova ancora,
chi mi dice se questa volta sarà migliore, la paura
mi fa timorosa. Quando penso al timore mi vedo come
un micio che mette la zampina nell’acqua, l’appoggia appena
poi la toglie con velocità, la scuote, ecco, sono come lei.
E come questo micio mi sento tenera, indifesa, non più forte,
per sopportare il dolore, forse neanche scaltra a non coglierlo
ancora, sto diventando più guardinga!!!!!!!! Forse me la racconto
ma ecco un altro anno, cosa chiederò al mio angelo……… si forse un amore
che mi tenga compagnia negli ultimi anni della mia vita……..
che come dice un mio amico sarà ancora lunga, ma vedremo come andrà.
autore: robbi
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Buon anno,
Buon anno anche a lei,
Buon anno a tutti.
Certo, grazie e speriamo che questo che arriva sia migliore.
Davvero questo appena trascorso ci ha portato tanti problemi,
………anno nuovo, vita nuova !!!
Sicuramente, ora basta ! quest’anno basta mi voglio divertire,
……….promesse , buoni proponimenti.
Idee di grandi cambiamenti.
Si apetta l’anno nuovo per ricominciare una nuova vita,
da sempre…………..
C’era l’usanza di gettare dalla finestra le cose che non usavano più in segno scaramantico,
…………….l’anno nuovo…………
Eppoi dopo due giorni ti accorgevi che non era cambiato niente.
Tutto come l’anno prima e due anni prima e tre anni prima……..
Promesse, progetti, speranze………………
l’unica cosa vera, alla quale non avevi neanche pensato
era che ……………… avevi un anno in più .
E quello era vero .
Buon anno a tutti
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