Ne sono successe di cose,
nella mia vita, intendo.
Da amori cerebrali,
forse per contraccolpo?,
altre strade ho percorso,
altre sensazioni ho percepito.
Credereste a uno che, a freddo,
senza soluzioni di continuità,
con un passato “serio”,
passa a provare davvero
altri percorsi?
Eh sì, altri, opposti potrei dire.
Dalla mente al senso. Anzi:
dal sesso, al senso, alla mente,
per precisare.
Le trovai in ambienti non certo
sereni. E le amai però,
così almeno mi parve.
E proseguii convincendo me stesso
che quella era la strada.
Dal sesso all’amore dunque.
E mi fissai, fui fermo nelle mie
convinzioni.
Se dall’intelletto si può passare
all’amore, dall’amore si può,
si deve passare alla condivisione
di sensazioni, passioni, affetti infine.
Volete sapere com’è andata?
Non bene, anche stavolta.
E non poteva che essere così,
come tutte le ipotesi da laboratorio,
quelle prove in cui fungiamo da arbitri,
osservatori., attenti magari, convinti,
seri, ma lontani dal fenomeno
che osserviamo,
come non fosse nostro.
La vita è trascorsa,
il fiume si è ingrossato,
molte mète sono state raggiunte.
Le vie dell’amore sono state tutte
esplorate.
Rimpianti pochi. Tanti ricordi,
teneri, felici e no.
Tutti conservati con cura però.
Ogni cosa mi è grata e ne sono felice.
Di qualsiasi tipo sia.
Non può dimenticarsi l’amore.
Diversi possono essere gli esiti
ma esso rimane una benedizione
del cielo.
Così sempre sarà e così sia.
Benedetto sia.
Autore: Lorenzo.rm
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cianciana ridenti de’ nostri cuntradi, accetta ‘stu ciuri ca t’offru stasira
cu tuttu l’amuri.
Maria chi turmenti ca aiu passatu e tu no’ sapevi…
Passavi arrirennu fragranti di suli: d’aranci sapevi e di mennuli ruci appena cugghiuti.
Tinuzza mia bedda, ascuta ‘a me vuci.
S’a notti viveva ‘a passava vigghianti, di iornu durmeva, additta, chi sai!
I schigghi sinteva de’ piscatori ca ievunu a mari: Paulu, Petru, spicciamuni,
è tardu.
I camii passavunu, carretti, carriola. ‘A genti travagghia ma ‘a notti ha durmutu.
Iù inveci, susennumi pareva cascatu da’n grattacielu. Intantu chi fazzu?
diceva tra mia. Ciù dicu? Non pozzu. Iardini idda avi e iù? Sulamenti ‘n cori amurusu.
Ci’abbasta? Pi nenti….
‘A genti sfuieva e ‘u to palazzoni vardava infelici e pazzu d’amuri.
‘Na sira tu dissi, ti dissi precisu: si bedda Tinuzza, si ‘a megghiu reggina, iù beni
ti vogghiu.
‘U sacciu, ‘a ricchezza è cosa ca cunta ma, vidi, è ch’iossai de’ ricchizzi do’ munnu
l’amuri pi’ tia.
Di sì arrispunnisti. E ora affacciatu, Tinuzza ti pensu. ‘A luci do’ mari ‘ddassutta luntana
mi fa cumpagnia.
Stanotte ti sonnu, e quannu na’ l’alba ‘a vuci di chiddi ca vanu a piscari si leva schigghenti,
mi susu cuntentu.
‘U suli talìu, ca pari ‘a to’ facci. Mi lavu, mi vestu e vaiu a passiari.
Autore: lorenzo.rm
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Ti chiamerò Sarah.
Come la tua gatta.
O anche la mia?
Quando ti sei accorta
che la donna non è
un fortilizio da espugnare,
un castello da cingere
d’assedio e conquistare?
Un territorio da difendere
con le unghie e coi denti?
Ieri, oggi,
presto, tardi?
E’ un piacere,
confondendo i tempi,
vederti muovere,
dirigere, ordinare,
disciplinare,
dare direttive,
mettere a posto i molesti,
indirizzare i timidi,
disprezzare i bugiardi
ed i perditempo.
E’ un piacere
Indagare, indovinare
i tuoi pensieri profondi,
i motivi dei tuoi sguardi fuggenti,
delle tue malinconie.
Pesa il fastidio, il dolore
di chi, volente o nolente
si sente in guerra col mondo.
Di chi tuttavia vuole esprimere
Il mare di dolcezza in cui è immersa.
E non sa come fare, cosa fare.
Forse il tuo improvviso tremore,
uno sguardo inaspettato
che si fissa e fa capire
il bisogno di un contatto
più vivo, più vero,
meno episodico.
Ah, che gioia cogliere
quello sguardo,
cedere ad un invito subito negato,
insistere e raccogliere
nel cavo di mani affettuose
lacrime mai piante,
desideri sempre nascosti,
affetti desiderati e mai raggiunti.
Sono miracoli, questi, Sarah.
Come l’incanto di una notte
dai neri colori ravvivati da
bagliori di luce e poi,
di un mattino in cui anche
la colazione può diventare
un rito. Di un tramonto senza angoscia.
Di una sera da non aspettare
con inquietudine.
Con il passaggio dalla quiete
di uno sprofondo all’incanto
di un paradiso. Forse mai cercato
e tuttavia fortunatamente conquistato.
Autore: Lorenzo.rm
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Cu t’ha misu ‘na testa,
di farimi passari
i peggio duluri?
Di farimi caminari
cu l’occhi sbarrati?
Di farimi ittari ‘na notti
vuci dispirati?
‘U sacciu ca ti piaci
di èssiri noncuranti
ca’ scusa do’ cchiffari
de’ tanti cosi ‘nteressanti.
Ma iù pozzu mòriri pi tia?
E non viririti, tuccariti,
e, mancu mai, vasariti?
Ma è giustu ca attornu
a tia lassi ruvini
e non t’inn’accorgi?
Ma è giustu ca moru
e tu sì luntana?
Cara mia bedda,
‘o cori non si cumanna.
‘U miu t’u pigghiasti
senza rimediu. E’ veru.
Mi poi rispunniri
ca tu nenti sapevi,
tuttu putevi immaginari
ma non chissu.
E’ giustu ‘u to raggiunamentu.
Ma iù chi pozzu fari, ca si
macari i santi non vulevunu
u cori miu s’infiammau?
Mi pozzu cuntintari
di chianciri, di dispirarimi?
A verità è ca ti vogghiu,
ca mi straniai, ca tuttu
mi scurdai e non si tratta
di aviri pazienza, d’aspittari
ca passa ‘a china, insistiri
no’ silenziu, scurdarisi ‘a pena.
Forsi sugnu obbligatu da tia
ca non voi. Allura ‘na stu casu
mi calmu, ti promettu.
Si dici di lassari perdiri
u megghiu po sulu beni,
cuntintarimi da to’ benevolenza
e scurdarimi cosi cchiù beddi.
Si chissa è ‘a to’ decisioni,
ti prumettu ca ‘arrispettu.
Però quantu sugnu siddiatu,
avvilitu, scunfurtatu.
Ma’ pigghiu co’ distinu
ca mi fici truvari ‘a perdizioni,
a dispirazioni, u ‘nfernu ‘n terra.
Mi sentu comu ‘na buatta
ca sbatti cà e ddà no’ mari.
Vidu e non vidu, sacciu
e non sacciu. Non sacciu
chi fari. Pensu però ca
quassiasi facenna si po’
prisintari. Sulu si voi, però,
picchì n’an palmu di manu
ti tegnu e nenti facissi
ca pozza dariti fastidiu o duluri.
Va beni, decidi. Sai unni sugnu,
chi fazzu, chi vogghiu. Decidi
libera comu ‘a luna. Fammi
chiddu ca voi. Pi mia tuttu
chiddu ca decidi è ben fattu.
Traduzione
Non sfuggirmi. Che cosa ti sei messa in testa, di farmi passare i dolori peggiori? Di farmi camminare con gli occhi sbarrati? Di farmi buttare nella notte voci disperate? Lo so che ti piace essere noncurante con la scusa del da fare, delle tante cose interessanti (di cui ti occupi). Ma io posso morire per te? Non vederti, toccarti e meno che mai baciarti? Ma è giusto che attorno a te lasci rovine e non te ne accorgi? Ma è giusto che muoio e tu sei lontana? Cara mia bella, al cuore non si comanda. Il mio te lo sei preso senza rimedio. E’ vero, mi puoi rispondere che tu non sapevi niente, che tutto potevi immaginare ma non questo. E’ giusto il tuo ragionamento ma io che cosa posso fare se, anche se neanche i santi volevano, il cuore si infiammò? Mi posso accontentare di piangere, disperarmi? La verità è che ti voglio, che mi ha dato di volta il cervello, che tutto mi sono dimenticato. E non si tratta di avere pazienza, aspettare che passi la piena (un modo di dire siciliano; “china” sta per “piena” di un fiume), insistere nel silenzio, scordarsi la pena. Forse sarò obbligato da te che non vuoi. Allora, in questo caso, ti prometto che mi calmo. Se dici di lasciare perdere il meglio per il bene, accontentarmi della tua benevolenza e dimenticarmi cose più belle. Se questa è la tua decisione, ti prometto che la rispetto. Però quanto sono seccato, avvilito, sconfortato. Me la prendo con il destino, che mi ha fatto trovare la perdizione, la disperazione, l’inferno in terra. Mi sento come un barattolo che sbatte qua e là nel mare. Vedo e non vedo, Capisco e non capisco. Non so che fare. Penso però che qualsiasi situazione si può presentare. Soltanto se vuoi, però, perché ti tengo in un palmo di mano e non farei niente che ti possa dare fastidio o dolore. Va bene, decidi. Sai dove sono, che faccio, che voglio. Decidi libera come la luna. Fammi quello che vuoi. Per me quello che decidi è ben fatto.
Autore: Lorenzo.rm
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Mettiamo che ci siano due ragazzi:
una ragazza e un ragazzo.
Mettiamo che la ragazza viva da sola
e sia “chiacchierata”.
Mettiamo che il ragazzo
l’incontri e l’ami.
Dopo….il risveglio. Che facciamo?
Il pomeriggio è assolato come non mai.
La quiete non è quiete.
Ella si confessa: “Tutti mi guardano
di sottecchi, ammiccano, ironizzano
sulla mia solitudine. Commentano
sui miei amici, che spesso cambiano”.
“Come ti posso venire incontro?”,
domanda lui.
“Forse potresti”, risponde lei.
“Sai che facciamo? Prendiamoci qualcosa
di fresco, poi, nel tardo pomeriggio
usciamo e facciamoci vedere insieme.
A tutti quelli che conosco e mi fermano
dirò : Questo è mio fratello. Tu hai
la faccia pulita e puoi sostenere
quanto dico. E forse qualcuno la smetterà
di chiacchierare su di me. Che dici?
Lo facciamo?”
Il ragazzo è perplesso ma è propenso
a darle una mano.
Un diavoletto gli dice: Ma tu che ci guadagni?
“Senti, risponde, prima di uscire,
lo famo ancora?”. “Ma certo”, risponde lei.
Lo fanno e sembrano molto felici.
Sono le 18, si danno una ravviatina,
si rivestono e vanno fuori a passeggiare,
incontrano gente, sorridono a destra
e a manca. “E’ mio fratello, è mio fratello”,
dice lei quasi gridando.
E lui le circonda fraternamente le spalle.
I due “fratelli” sorridono, prendono insieme
un gelato e si allontanano sereni.
Il risultato del loro incontro con la gente
si vedrà da domani.
Autore: Lorenzo.rm
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